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Leo, Marco e l’amicizia

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Il primo è stato l’amico di ferro nella valle dell’Arno degli anni Cinquanta fino a quando i casi della vita l’hanno consentito, per scelta o necessità. Finite le Medie, lui a Firenze e io a Lugano. Qualche lettera, poi più niente. Mai stati grandi chiacchier­oni, ci piaceva la vita in diretta, la presenza fisica in tutto ciò che avevamo intenzione di fare. Non so neanche se sia ancora vivo. Ogni tanto, nel sonno, me lo trovo davanti, uguale e diverso, e sono le notti più belle dell’anno. Qualcuno ha scritto che per essere felici bisogna innanzitut­to immaginare di essere felici, con Leo non ce n’era bisogno, se si decideva di fare una cosa la si faceva, punto. “Verifiche e valutazion­i a dopo – diceva –, perché sennò va a finire che un si fa nulla”. L’azione “in diretta” e se le cose andavano storte si raddrizzav­ano dove era possibile. Criticare sì, litigare mai, scaricare le colpe sugli altri nemmeno. A volte gironzolan­do per il paese sentivo che prima o poi l’avrei incontrato, proprio come quando in vacanza senti l’odore del mare prima di arrivare alla spiaggia. Era l’intesa perfetta e proprio per questo destinata a finire.

60 anni dopo ho avuto modo di ascoltare un’intervista di Marco, allora sindaco di Lugano, concessa ad una studentess­a in comunicazi­one per la sua tesi di laurea. Ne riassumo un passo: in politica non ci sono amici e a volte devi essere anche un po’ bastardo se vuoi raggiunger­e i tuoi obiettivi, se non lo fai va a finire che lo fanno gli altri. A me purtroppo è capitato. “Compliment­i, bell’ambientino!”. Immagino avrebbe commentato Leo con sufficienz­a, poi subito aggiunto: “Ho sentito che aprono la diga su all’Acquaborra, se ti va in meno di un’ora di bicicletta siamo lì a vedere come si gonfia l’Arno”. Proprio un altro mondo, in gran parte... perduto.

Carlo Curti, Lugano

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