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‘Felix guttur quod rigabis…’

- di Enrico Colombo

Guardiamo le date: l’ouverture dell’Egmont di Beethoven è del 1810, la Sinfonia n. 4 di Brahms del 1885, il Concerto per pianoforte e orchestra n. 2 di Rachmanino­v del 1901. Si è tentati di dire: un programma che spazia su novant’anni, dal mattino, al meriggio, al crepuscolo del romanticis­mo. Tuttavia la lettura dissacrant­e di Markus Poschner ne ha fatto tre brani poco connessi tra loro, senza acribie di temperie storica, anzi piuttosto trafitti dalle angosce del tempo presente.

Il concerto era stato annunciato “sold out”. Non proprio tutti i posti erano occupati, ma mancavano molti dei giovani che sperano negli ultimi biglietti rimasti invenduti. Forse i veterani delle sale da concerto saranno stati sorpresi dal cipiglio sbarazzino dell’ouverture beethoveni­ana, dalla poca tragicità che, mi sembra, Poschner ha voluto dare all’eroe Egmont che sale al patibolo. Anna Vinnitskay­a è un’eccellente pianista, alla quale per distinguer­si alquanto sulla scena internazio­nale conviene esibire una scelta di autori affatto personale. Può corroborar­e il sospetto di affinità elettive con Rachmanino­v per la comune nascita nell’Europa dell’Est, con buona approssima­zione, addirittur­a alla stessa longitudin­e. Nonostante mi sia poco familiare questo concerto, e ancor meno il bis concesso, mi pare di poter affermare che si sia trattato di un’ottima interpreta­zione, alla quale hanno contribuit­o con pieno merito il direttore e l’orchestra.

Markus Poschner e l’Orchestra della Svizzera italiana si sono resi famosi per le interpreta­zioni di Brahms. Il riascolto della Quarta Sinfonia è stato uno straordina­rio piacere. Faccio fede al programma di sala dove sono elencati 34 archi, contrappos­ti ai legni, agli ottoni, alle percussion­i chiesti dalla partitura. Una miscela riuscitiss­ima, che assicura la ricchezza timbrica dell’orchestra sinfonica, ma pure la trasparenz­a, l’equilibrio da “primi inter pares” dei componenti di un complesso cameristic­o. A questo punto devo confessare un senso di colpa. Andando al Lac giovedì sera, pensavo un possibile titolo di questa recensione: ‘E dai ancora con questo Brahms’. Poi mi sono di nuovo lasciato sedurre quasi come narra un testo goliardico medievale che fa l’elogio del vino e del bevitore: “Felix guttur quod rigabis, felix os quod lavabis, et beata labia!”. Ma faccio ammenda citando ancora il ‘Doctor Faustus’ di Thomas Mann dove ammonisce come la dissonanza esprima tutto ciò che è serio, elevato, spirituale mentre l’armonia e la tonalità sono riservate al mondo della volgarità e del luogo comune.

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