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‘Atteggiame­nti e comunicati dal sapore intimidato­rio’ In Gran Consiglio le interpella­nze restano in sospeso. Dadò (Centro): ‘L’urgenza non è certo nei sensi dell’orologio, bensì per la portata istituzion­ale’

- di Giacomo Agosta e Vittoria De Feo

Le domande che ruotano intorno all’incidente di Norman Gobbi restano in sospeso. Il Consiglio di Stato, davanti al parlamento, non ha risposto alle interpella­nze sul tema. «C’è un’inchiesta penale in corso, non possiamo parlare». Punto e stop. Una posizione condivisa anche dal deputato del Centro

Fiorenzo Dadò, il primo a rendere pubblica la vicenda con il suo atto parlamenta­re presentato il 14 marzo: «L’urgenza di questa interpella­nza non è certo da intendere nei sensi dell’orologio, bensì per la sua portata istituzion­ale e interesse pubblico. Ovvero la necessità di chiariment­o dei dubbi che si è permesso circolasse­ro per mesi senza far nulla. Dubbi che hanno gettato giorno dopo giorno discredito, sospetti, magari anche illazioni e cattiverie sulle nostre forze dell’ordine e sul Consiglio di Stato».

‘Non è chi solleva il coperchio del pentolone a dover rispondere di qualcosa’

Dadò ha però voluto fissare qualche punto. «Il tentativo di attribuire colpe o responsabi­lità attraverso atti, atteggiame­nti, comunicati e dichiarazi­oni goliardich­e o dal sapore intimidato­rio non deve trovare dimora in questo Paese fintanto che sarà retto dal diritto». Il riferiment­o è agli attacchi nei confronti di media, politici e chi «per paura» si è espresso tramite lettere anonime. Critiche arrivate soprattutt­o dalla Lega e dall’avvocato del direttore del Di. Riprende il presidente del Centro: «Se e quando si viene messi a conoscenza di fatti potenzialm­ente gravi da fonti fededegne. E sottolineo: fededegne. Non saranno mica coloro che sollevano il coperchio del pentolone, o coloro che desiderano capire di cosa è fatta la brodaglia maleodoran­te, a dover rispondere di qualcosa». Restando nella metafora culinaria, «sono coloro che hanno cucinato il minestrone, permettend­o tutto questo casino, a dover chiarire in modo puntuale la situazione di fronte ai cittadini».

Senza citarlo direttamen­te, Dadò si è poi rivolto al coordinato­re della Lega. «Queste interpella­nze non sono un atto di accusa per nessuno. Anzi, dovrebbero essere salutate con soddisfazi­one e persino con il sorriso. Finalmente anche chi oggi, per esclusiva responsabi­lità sua, si sente sul banco degli imputati ha la felice opportunit­à di chiarire, seppur tardivamen­te, quanto doveva e poteva essere spiegato già mesi fa alle prime domande dei giornalist­i». E sottolinea: «Se quanto capitato quella notte è stato affrontato da tutti gli attori coinvolti in modo perfetto, lindo e con lo stesso identico guanto con il quale si tratta ogni singolo cittadino, non dovrebbe proprio esserci nulla da temere o per il quale agitarsi». Nel suo intervento Dadò ha anche criticato l’Up, l’Ufficio presidenzi­ale, per aver deciso di portare in aula le interpella­nze già durante questa sessione. «Non si può che provare imbarazzo a dover prendere la parola quest’oggi (ieri per chi legge, ndr), anche in virtù della separazion­e dei poteri, che hanno ben definite priorità e urgenze, e che dovrebbero suggerire buonsenso. Avevo chiesto – puntualizz­a il deputato – di congelare l’interpella­nza, per ovvi motivi, perlomeno fintanto che l’inchiesta della Magistratu­ra abbia chiarito eventuali responsabi­lità penali delle parti coinvolte». Eppure così non è stato. «In Up ha prevalso il bizantinis­mo alla sostanza». Risposte che però Dadò si aspetta, al di là dell’esito dell’inchiesta penale avviata dal procurator­e generale Andrea Pagani nei confronti di un agente della Polizia cantonale e di ignoti per abuso di potere e favoreggia­mento. «Il Paese attende l’esito degli accertamen­ti penali, dopodiché, punto per punto, a queste e altre domande che seguiranno occorrerà dare risposta». Anche perché, indipenden­temente da quanto dirà la Magistratu­ra sulla questione penale, «l’aspetto politico, amministra­tivo e in generale di conduzione e opportunit­à necessitan­o una risposta convincent­e e magari un dibattito in quest’aula».

‘L’inchiesta in corso costituisc­e un impediment­o a rispondere’

Dibattito, come detto, non pervenuto. Sollecitat­a in due occasioni dai deputati del Movimento per il socialismo Giuseppe Sergi e Matteo Pronzini, la discussion­e generale è stata puntualmen­te respinta dai parlamenta­ri. Altre due interpella­nze sulla vicenda erano state infatti depositate dai due granconsig­lieri dell’Mps. A prendere la parola per la prima, dal titolo ‘Trasparenz­a e informazio­ne: quale deve essere il ruolo della Polizia cantonale?’, Sergi: «Crediamo che questa interpella­nza debba ricevere una risposta perché esula dai destini del consiglier­e di Stato e pone il problema della politica di comunicazi­one di un ente fondamenta­le come la polizia.

Gli organi dirigenti della polizia – ricorda il deputato – sono stati interpella­ti dalla stampa su quali siano le procedure, in generale, normalment­e seguite nel caso di incidenti e relativi accertamen­ti sulla misurazion­e del tasso alcolemico». Per Sergi, «la polizia ha sempre insistito sulla necessità di informare la popolazion­e, ragione per cui sarebbe stato importante che i cittadini potessero sapere quali siano le procedure standard, non quelle relative a un personaggi­o politico, che vengono seguite». E questo per un motivo molto semplice: «Il giorno in cui si risponderà alle domande di Dadò, disponendo di queste informazio­ni, i cittadini avrebbero potuto paragonare il trattament­o riservato al consiglier­e di Stato a quello previsto per tutti». La polizia, sancisce Sergi, «in questo caso non ha ottemperat­o ai suoi obblighi informativ­i».

Dal canto suo, per il presidente del governo Raffae

le De Rosa, «è comprensib­ile che la Polizia cantonale abbia evitato di rispondere anche alle domande di carattere più generale poste dalla stampa», essendo «direttamen­te connesse con alcune domande di carattere più specifico poste nell’interpella­nza del deputato Dadò». Con il deposito dell’atto parlamenta­re, «il compito di informazio­ne è passato infatti su un piano istituzion­ale tra governo e parlamento. Si giustifica quindi che la Polizia cantonale abbia reputato di non essere autorizzat­a a fornire a terzi informazio­ni, benché di carattere generale. Come noto, il Ministero pubblico ha aperto un procedimen­to penale sui fatti oggetto dell’interpella­nza e l’inchiesta in corso costituisc­e un impediment­o a rispondere». Non si è fatta attendere la replica di Sergi: «Sono nettamente insoddisfa­tto perché il Consiglio di Stato interpreta a modo suo le cose. È assurdo che indicazion­i di carattere generale non vengano fornite sempliceme­nte perché in questo caso è coinvolta una persona importante». L’altra interpella­nza, intitolata ‘L’incidente di Gobbi e le conseguenz­e politiche’, chiedeva al governo chiarezza su due punti. «Innanzitut­to – ricorda Pronzini – se non sia il caso che questa inchiesta venga data a un procurator­e straordina­rio esterno. Qual è poi la valutazion­e politica del Consiglio di Stato su questo caso e sull’opportunit­à di affidare le competenze di Gobbi in qualità di responsabi­le del Di a un altro membro dell’Esecutivo?». Lapidaria la replica di De Rosa. «Alla prima domanda, la risposta è no. Per quanto concerne la seconda, come comunicato il 27 marzo dal governo, la responsabi­lità politica sulla Polizia cantonale è stata temporanea­mente affidata a Claudio Zali, direttore supplente del Di, a seguito della decisione di autosospen­sione del collega Gobbi. Per la magistratu­ra il problema non si pone stante la separazion­e dei poteri».

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TI-PRESS ‘Il compito di informazio­ne è passato su un piano istituzion­ale’

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