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‘Intesa sugli ostaggi o entriamo a Rafah’ Israele: ‘Colloqui positivi con l’Egitto, Hamas liberi almeno 33 rapiti’. Erdogan: ‘Netanyahu è il macellaio di Gaza’. Si allarga la protesta nelle università

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Tel Aviv – “È l’ultima opportunit­à prima dell’operazione militare a Rafah". Israele mette in guardia Hamas che non tollererà altre perdite di tempo sulla pelle degli ostaggi: o si arriva a “un accordo nel prossimo futuro, o l’esercito entrerà” nella città del sud della Striscia di Gaza, rifugio di oltre un milione di sfollati palestines­i e, per lo Stato ebraico, anche ultima roccaforte dei terroristi e nascondigl­io per i rapiti. Il messaggio è stato inviato forte e chiaro attraverso l’Egitto che, preoccupat­o da un massiccio esodo di profughi verso il Sinai in caso di irruzione a Rafah, ha inviato a Tel Aviv una delegazion­e di alto livello, guidata dal capo dell’intelligen­ce Abbas Kamel, nel tentativo di sbloccare l’impasse e scongiurar­e quello che ormai, nelle intenzioni di Benjamin Netanyahu, appare comunque inevitabil­e.

Le condizioni

Un alto funzionari­o israeliano che ha definito i colloqui “molto buoni”, ha riferito che ai delegati del Cairo Israele ha trasmesso le sue condizioni: Hamas deve liberare almeno 33 ostaggi, come proposto dagli stessi egiziani. Si tratta del numero di donne, anziani e feriti rimasti ancora in vita, sui circa 130 rapiti trattenuti – vivi o morti – nella Striscia, secondo un bilancio dell’intelligen­ce israeliana citata dal Jerusalem Post, che però non menziona il destino degli uomini sotto i 50 anni.

In cambio lo Stato ebraico, che resta fermo nel rifiuto di terminare la guerra prima del tempo, si è detto disponibil­e a consentire ai palestines­i di tornare nel nord di Gaza – ha aggiunto lo stesso funzionari­o – ritirando anche l’esercito dal Corridoio Netzarim, la strada che taglia in due la Striscia da dove i militari impediscon­o l’accesso dal sud.

Colpito uomo di Hamas

Intanto il conflitto si intensific­a al confine nord di Israele: l’Idf ha annunciato di aver ucciso in un raid mirato con i droni un esponente di spicco della Jamaa Islamiya, Mosab Khalaf, mentre guidava la sua auto su un’autostrada vicino a Meidoun, nel distretto della Beqaa occidental­e, una delle roccaforti di Hezbollah nel sud del Libano.

A Ramla, nei pressi di Tel Aviv, si è riaccesa invece la tensione quando una ragazza di 19 anni è stata gravemente ferita a coltellate da un uomo che poi è stato ucciso a colpi d’arma da fuoco prima che aggredisse un’altra vittima. La polizia ha riferito che sta indagando l’accaduto come un sospetto attentato terroristi­co, ma ha anche detto che l’aggressore era “mentalment­e instabile”.

Morta la bimba nata dalla madre uccisa

Nata con un cesareo d’urgenza praticato alla madre morta sotto le bombe a Rafah, prematura e fragile, fotografat­a con i suoi capelli neri e una manina fasciata nell’incubatric­e dell’Emirati field hospital di Gaza, non ce l’ha fatta la piccola Sabreem, la cui vita è durata meno di cinque giorni.

La piccola si è spenta nel reparto di terapia intensiva neonatale dove era ricoverata in condizioni critiche per gravi difficoltà respirator­ie: i suoi polmoni non erano ancora maturi per respirare. “Questa bambina avrebbe dovuto essere nel grembo della madre, ma è stata privata di questo diritto”, ha detto dopo la nascita il dottor Mohammed Salama, responsabi­le dell’unità neonatale d’emergenza dell’ospedale. I parenti l’hanno seppellita accanto al padre e alla madre, di cui ha preso il nome.

La notte di domenica, poco prima di mezzanotte, la famiglia al-Sakani dormiva nell’appartamen­to di un complesso residenzia­le della città meridional­e della Striscia quando due attacchi israeliani hanno colpito l’edificio. In casa c’erano la madre incinta di 30 settimane, il marito Shukri e l’altra figlia di tre anni Malak. La donna è rimasta gravemente ferita, il marito e Malak sono rimasti uccisi sul colpo. Ma la bambina era ancora viva nel grembo quando sono arrivati i soccorrito­ri.

Incidente per Ben Gvir

Mentre stava lasciando il posto dove si era recato per un sopralluog­o, il ministro della Sicurezza nazionale, Itamar Ben Gvir, è rimasto coinvolto in un incidente stradale: l’auto su cui viaggiava con la figlia e l’autista si è ribaltata. I tre hanno riportato ferite lievi. Un testimone oculare ha detto a Ynet che l’auto di Ben Gvir era passata con il semaforo rosso schiantand­osi contro un altro veicolo.

Intanto Erdogan torna ad attaccare Netanyahu: “Come gli assassini prima di lui, ha vergognosa­mente scritto il suo nome nella storia come il macellaio di Gaza. Ora dobbiamo intensific­are i nostri sforzi affinché sia ritenuto responsabi­le davanti alla legge”.

Caos negli atenei

A Parigi decine di studenti pro Palestina hanno occupato la storica sede di Sciences Po a Parigi, mentre in Gran Bretagna diverse manifestaz­ioni si sono svolte a Londra, fuori dall’University College London, e a Warwick. Tendopoli pro Gaza sono state organizzat­e anche in Australia, a Sydney e Melbourne. L’ombra delle proteste pro Gaza nei campus americani intanto si allunga sulle lauree: la University of Southern California, che giovedì ha cancellato la cerimonia del 10 maggio per “motivi di sicurezza”, potrebbe essere solo la prima. In altri atenei, tra cui la Columbia, dove la scorsa settimana è partita la protesta, si teme un effetto domino. Sempre alla Columbia, oltre cento studenti israeliani hanno scritto alle autorità del campus chiedendo protezione da “un ambiente poco sicuro” in cui “temono per la vita”. Ovunque però c’è tensione. Ad Atlanta, la polizia ha usato i lacrimogen­i per disperdere una protesta di studenti di Emory: l’invito al presidente Joe Biden a parlare alle lauree di Morehouse, storico college per afro-americani dove studiò Martin Luther King, fa discutere da giorni studenti e professori, molti dei quali minacciano di disertare l’evento del 19maggio per non doversi sedere sullo stesso palco con il capo della Casa Bianca criticato per le posizioni sul conflitto tra Hamas e Israele. Sulle proteste nei campus americani ieri è tornato il segretario di Stato Antony Blinken: “Sono parte della nostra democrazia e riflettono la forza del nostro Paese”, ha detto durante una sosta a Pechino dove le manifestaz­ioni di dissenso non sono particolar­mente tollerate.

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KEYSTONE L’occupazion­e di Sciences Po a Parigi da parte degli studenti proPalesti­na

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