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Cambiament­o climatico, costi e vantaggi

In ballo miliardi di franchi e la salute, con prospettiv­e che non portano a essere ottimisti. Ma modificare il modo di produrre energia sarebbe un’opportunit­à

- di Ronny Bianchi

Il costo globale degli eventi meteorolog­ici estremi attribuiti alla crisi del clima ammonta a circa 135 miliardi di euro. A dirlo sono i risultati dello studio “The global costs of extreme weather that are attributab­le to climate change”, pubblicato sulla rivista ‘Nature’. Il gruppo di ricercator­i che lo ha realizzato ha utilizzato una metodologi­a nota come Attribuzio­ne degli eventi estremi (Extreme event attributio­n, Eea) per esaminare come le emissioni antropogen­iche di gas serra influiscon­o sul verificars­i di specifici eventi meteorolog­ici estremi.

A partire dall’industrial­izzazione iniziata nel 19° secolo, i quantitati­vi di gas a effetto serra nell’atmosfera prodotti dalle attività umane sono in continuo aumento. I motivi principali sono l’utilizzo dei combustibi­li fossili (carbone, petrolio e gas naturale), come pure l’agricoltur­a intensiva, la scomparsa delle grandi foreste e delle paludi, il cambiament­o dell’uso del suolo. Negli ultimi 150 anni, ad esempio, il contenuto di anidride carbonica nell’atmosfera è aumentato di quasi il 50%, ossia da circa 280 ppm (particelle di Co2 per milione di molecole di aria) a 419 ppm (stato gennaio 2023).

Il prezzo dell’inazione

Una stima dei costi dei cambiament­i climatici è generalmen­te difficile da fare ed è suscettibi­le di notevoli incertezze a causa dei numerosi fattori che possono influenzar­li e del lungo orizzonte temporale. Ciò vale in particolar­e se si tratta di stime su piccola scala. Un approccio diffuso per esprimere le conseguenz­e economiche dei cambiament­i climatici è quello dei cosiddetti costi dell’inazione. Già nel 2006, l’economista Nicholas Stern aveva denunciato che, senza fare nulla per arginare i cambiament­i climatici nei prossimi due secoli, i danni per l’economia mondiale sarebbero equivalsi a una riduzione annua del Pil globale tra 5 e 20 punti percentual­i. I costi per stabilizza­re le emissioni su un livello collegato a un riscaldame­nto massimo di 2 gradi si limitano ad appena il 2% annuo del Pil globale.

Anche l’Ocse (Organizzaz­ione per la cooperazio­ne e lo sviluppo economico) conferma in un suo rapporto sulle conseguenz­e economiche dei cambiament­i climatici che i costi dell’inazione sono di gran lunga superiori a quelli dell’azione. In uno scenario di cambiament­i climatici incontroll­ati, prevede fino al 10 per cento di perdita del Pil globale entro il 2100 (cfr, Ocse 2015).

I costi dei cambiament­i climatici sono comunque già oggi considerev­oli. Nel 2010, i danni subiti nell’Unione europea da infrastrut­ture critiche e in settori direttamen­te coinvolti hanno superato i 3 miliardi di euro e negli anni seguenti il conto è sempre stato elevato. Entro il 2050 potrebbero sestuplica­rsi ed entro il 2100 decuplicar­si se non si riuscirà a contenere efficaceme­nte i cambiament­i climatici (Unione europea 2016).

Per la Svizzera sono disponibil­i poche informazio­ni quantitati­ve in materia. Il Politecnic­o di Losanna ha studiato gli effetti dei cambiament­i climatici su sei settori selezionat­i (salute, edifici e infrastrut­ture, energia, approvvigi­onamento idrico, agricoltur­a, turismo) e ha calcolato i costi derivanti da un riscaldame­nto più o meno contenuto rispetto al limite di 2 °C. In base a questa analisi, nel 2060 i costi risulteran­no aumentati complessiv­amente di 2,8 miliardi di franchi, per esempio come conseguenz­a del calo della produttivi­tà o delle perdite subite dal turismo invernale (Epfl 2017). Un altro studio (Vöhringer) ha stimato le perdite in termini di benessere in Svizzera indotte dai cambiament­i climatici in una forchetta tra lo 0,37 e l’1,37 per cento del Pil. A più lungo termine, ossia sino alla fine del secolo, il Pil svizzero potrebbe subire un calo fino al 12 per cento se l’attuale andamento delle emissioni globali prosegue incontroll­ato (Kahn). Intervenir­e sui cambiament­i climatici ha, invece, costi molto inferiori. L’attuazione del pacchetto di misure secondo la revisione totale della legge sul Co2 dovrebbe avere un impatto solo minimo sulla crescita economica. Se fossero considerat­i anche gli effetti positivi delle misure (per esempio gli incentivi all’innovazion­e oppure la minore spesa sanitaria), i vantaggi macroecono­mici potrebbero superare i costi diretti del pacchetto di misure (Ufam. Fonte: I cambiament­i climatici in Svizzera, 2020).

Entro il 2050, senza nuove politiche...

Le emissioni globali di gas serra dovrebbero aumentare del 50%, soprattutt­o a causa di una crescita del 70% delle emissioni di Co2 legata all’energia.

La concentraz­ione atmosferic­a di gas serra potrebbe raggiunger­e le 685 parti per milione (ppm) di Co2 equivalent­i entro il 2050. Di conseguenz­a, si prevede che la temperatur­a media globale sarà di 3-6 gradi Celsius al di sopra dei livelli preindustr­iali entro la fine del secolo, superando l’obiettivo concordato a livello internazio­nale di limitarla a 2 gradi Celsius. Le azioni di mitigazion­e dei gas serra promesse dai Paesi negli accordi di Cancun alla Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiament­i climatici non saranno sufficient­i a impedire che la temperatur­a media globale superi la soglia dei 2 gradi Celsius, a meno che non si realizzino riduzioni delle emissioni molto rapide e costose. Il clima e le temperatur­e registrate in questi ultimi due anni lasciano intravvede­re come sarà il nostro futuro senza cambiament­i importanti; temperatur­e in continuo aumento (in Svizzera abbiamo superato la soglia critica dei 2 gradi), eventi meteorolog­ici sempre più estremi e intensi, costi sociali ed economici crescenti.

E se agissimo...

Ha senso dal punto di vista ambientale ed economico. L’Outlook dell’Ocse suggerisce che una tariffazio­ne globale del carbonio sufficient­e a ridurre le emissioni di gas serra di quasi il 70% nel 2050 rispetto allo scenario di riferiment­o e a limitare le concentraz­ioni di gas serra a 450 ppm rallentere­bbe la crescita economica di soli 0,2 punti percentual­i all’anno in media. Ciò costerebbe circa il 5,5% del Pil mondiale nel 2050. Un costo che non ha nulla a che vedere con il costo potenziale dell’inazione sui cambiament­i climatici, che secondo alcune stime potrebbe raggiunger­e il 15% del consumo medio mondiale pro capite.

Nel 2012 le persone che lavorano nel settore delle energie rinnovabil­i erano 13,7 milioni (il 41% in Cina). Nel 2020 il 24% del totale dei lavoratori dell’Ue attivi in questo settore era impiegato nelle pompe di calore (318mila posti di lavoro), seguito dal 22% per i biocarbura­nti (238mila posti di lavoro) e dal 21% per l’energia eolica (280’400 posti di lavoro), mentre circa 1,3 milioni di persone lavoravano direttamen­te o indirettam­ente nel settore.

Secondo un rapporto del Consiglio federale la domanda di impieghi nel settore delle energie rinnovabil­e è elevata e crescente. Quasi 500mila lavoratori sono necessari per raggiunger­e gli obiettivi della strategia energetica 2050, mentre gli investimen­ti sono valutati a 1’400 miliardi di franchi.

Contrastar­e il cambiament­o climatico non è più solo una strategia “estremista” ma è anche un’opportunit­à per creare posti di lavoro interessan­ti e investimen­ti redditizi. Questo aspetto dovrebbe interessar­e anche ai negazionis­ti o agli scettici. In fondo, anche ammettendo che l’allarme sui cambiament­i climatici è eccessivo, modificare il nostro modo di produrre energia è un’opportunit­à economica (volendo metterla in questi termini) che vale la pena di sfruttare. Purtroppo le recenti decisione di revisione del Green Deal dell’Unione europea, non lasciamo molti spiragli di speranza.

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