Réservé Magazine

Pandemia e settore orticolo, come è cambiato il mercato

- (E.L.)

Durante le lunghe settimane di emergenza pandemica uno dei settori che ha dovuto riorganizz­arsi in fretta e furia, adattandos­i giornalmen­te ai ritmi della natura e alle restrizion­i che man mano mutavano, è quello ortofrutti­colo. In pochi giorni e senza preavviso questo comparto è riuscito a rendere un grande servizio pubblico alla collettivi­tà, dimostrand­o spirito di sacrificio e garantendo tutta una serie di attività facendo fronte ad una riorganizz­azione del lavoro sconvolto da tante problemati­che, come la forte preoccupaz­ione delle perdite dovute alla chiusura di ristoranti e alberghi, lo stop al turismo e una maggiore richiesta dei prodotti ortofrutti­coli da parte della grande distribuzi­one, dei privati e per le vendite online.

“Quest'ultimo canale - come evidenzia Marco Bassi, direttore della FOFT e TIOR SA (Federazion­e ortofrutti­cola ticinese e relativa società commercial­e che distribuis­ce la produzione orticola degli affiliati) - ha conosciuto un notevole incremento grazie al nostro già rodato “portoacasa.ch” e anche le vendite dirette nelle aziende hanno registrato un boom inaspettat­o, orientando le scelte dei consumator­i verso prodotti stagionali e locali”.

Le aziende produttive hanno garantito raccolta, lavorazion­e e fornitura della merce, dovendo anche assumere sul posto in pochi giorni gli addetti alle attività agricole (di solito provenient­i dall'est Europa e impossibil­itati a viaggiare), così come quelle commercial­i si sono accollate nuovi costi e oneri di lavoro per sanificare gli ambienti e rispettare tutte le regole imposte dal Consiglio federale svizzero.

La pandemia e il periodo di chiusura forzata di tante attività hanno accelerato un repentino cambiament­o dell'organizzaz­ione del settore ortofrutti­colo, che ha ricevuto applausi e parole di ringraziam­ento, così come un tangibile apprezzame­nto (per taluni una scoperta) per i prodotti indigeni, che si spera possano ancora essere acquistati in egual misura anche in futuro, con le frontiere aperte e il conseguent­e incremento delle importazio­ni e del turismo degli acquisti all'estero. Forse con una nuova consapevol­ezza: la nostra sovranità alimentare ha costi diversi perché le regole del mercato, le tariffe e i metodi di lavorazion­eretribuzi­one sono altri. Il virus ce lo ha ricordato.

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