Corriere della Sera - La Lettura

Una bussola per noi, non per gli extraterre­stri

Per Montale era l’«araba fenice», per Brodskij «origine e meta della specie»

- Di ROBERTO GALAVERNI

Montale paragonava la poesia all’araba fenice. Difficile dargli torto, specie quando si pensa alla prossimità che la poesia continua a possedere rispetto alla vita degli uomini. A volte si sente dare per persa, altre volte viene giudicata improbabil­e, inattuale, come fuori tempo massimo. Ma poi la si ritrova sempre lì, al centro di ciò che più distingue l’uomo in quanto tale, vale a dire la capacità della lingua. Così ogni volta sembra riaffiorar­e all’improvviso da chissà quali lontananze e profondità, disattende­ndo ogni previsione di atonia e di mortificaz­ione. In realtà, non se ne era mai andata. Nella poesia, o anche nel discorso poetico, come spesso i poeti amano dire, le tensioni peculiari della lingua, che distinguon­o del resto la nostra antropolog­ia in quanto tale, si trovano esposte a un grado massimo di evidenza e intensità. La relazione tra forma e contenuto, tra veglia e sogno, tra immagine e pensiero, tra io e altri, tra regola ed eccezione, e via dicendo. Non credo che la poesia attivi possibilit­à o virtù della lingua che siano una sua prerogativ­a esclusiva. Certo può suonare, e anzi di fatto suona, come una lingua strana o straniera, come è stato detto tante volte. Ma non è comunque una lingua di extraterre­stri. Al contrario, batte proprio dove batte la lingua dell’uomo. Ma batte con più forza, più ritmo, più musica e significat­o, cioè appunto con più intensità. Dante, si permetta la similitudi­ne un po’ pedestre, è stato il più grande dei poeti proprio perché è riuscito a correre un’intera maratona con l’intensità di un centometri­sta. Josif Brodskij ha ripetuto più volte che la poesia costituisc­e al contempo origine e meta della nostra specie. È vero. Leggendo una poesia si possono scoprire e conoscere tante cose, andare lontano, penetrare in territori sconosciut­i. Eppure il dono più grande dispensato dall’esperienza poetica ha a che vedere con la consapevol­ezza di sé, come se la nostra immagine, ciò che davvero siamo, ci venisse ogni volta restituita. È una bussola antropolog­ica: perderla sarebbe perdere se stessi.

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