Corriere della Sera - La Lettura
Il re delle storie di carta va in contropiede
Apologhi Un anziano editore innamorato di manoscritti e volumi conosce il primo ereader della sua vita. Sarà una rivelazione. Che il romanzo di Paul Fournel svolge con il gusto per il divertimento
«Hai messo un piede nella vecchia editoria, e che piede, e ne hai già un altro in quella futura. Sei esattamente nel posto giusto, in equilibrio instabile. Nel punto di crisi. L’editoria non è mai veramente in crisi, è la crisi. La crisi è la sua natura». Chi avrebbe immaginato che Robert Dubois, l’anziano editore profondamente legato ai piaceri della carta, investito un venerdì sera dalla rivoluzione tecnologica sotto forma di ereader, sarebbe riuscito a divertirsi e a prendere una personale rivincita sui veri proprietari delle sue edizioni?
Qualche traccia fin dalle prime pagine c’è: l’arguzia, l’ironia e la perspicacia affiorano nel monologo interiore di Dubois, mentre indugia ancora un po’ tra i manoscritti del suo studio, prima di raccoglierli nella pesante cartella che porta con sé ogni weekend. Ausculta il plico di fogli per valutare la qualità del testo e, attraverso essi, ausculta il proprio cuore. Un momento privato, che parla di un lungo affetto per il suo lavoro e al contempo denuncia l’avvenuto svuotamento del romanzi per venderli meglio. A che gli serve leggerli(anche se lo farà) se già sa cosa c’è scritto? «Sempre la solita minestra che noi trasformiamo in novità, tendenze, rentrée letterarie, successi, flop, molti flop». È stato un errore, sentenzierà più avanti il navigato protagonista, pronto a lasciare defluire l’amarezza per la curiosità verso la stagista, portatrice sana de La
novità che dà il titolo al libro. Si chiama Valentine e, dopo avergli consegnato il tablet, vorrebbe andarsene, è venerdì sera: ma lui insiste, la invita a sedere, pone domande. E, mentre lei, senza mai averne sentito parlare, «reinventa» lo scroll di Kerouac, una scintilla molto ben dissimulata si accende nella mente dell’editore, dando l’avvio a un avvincente intreccio, che divertirà il lettore perché il primo a divertirsi è inaspettatamente il «nostalgico» protagonista.
Il primo mistero, per nulla trascurabile, visto che è lui a muovere il libro, è proprio il protagonista, col suo carattere complesso, segnato da una sensualità che in francese si annuncia fin dal titolo,
La liseuse: un’ambiguità tra il termine «lettrice» e l’ereader con cui il nostro lascia l’ufficio. La sua voluttà non si esprime soltanto al ristorante abituale. Tutti i sensi sono coinvolti nel rapporto coi libri. Vale anche per la liseuse, che è fredda, par rifiutarlo: «Gli sto antipatico...». La sua è un’indole non facile da cogliere: l’abitudinarietà, alcuni aspetti blasé, una certa bonomia, ma anche guizzi d’ogni sorta, la vena satirica e una giocosità appena celata che finiscono per innervare il romanzo. Una valutazione del protagoni- sta sulla partita a bocce allude alla sua personalità: «È rassicurante perché ripetitiva ma stimolante perché imprevedibile», come ciò che gli piace. E come, naturalmente, l’editoria. Della quale l’autore, Paul Fournel, classe 1947, è stato, tra un libro e l’altro, un protagonista, basti fare qualche nome: Hachette, Honoré Champion, Ramsay, Seghers.
Da qui la vividezza nel raccontare gli autori, i cartai, i promotori, i guai nella sede, le considerazioni sul mercato, mentre, di fatto, il protagonista accompagna il lettore lungo tutti gli snodi della catena editoriale. Intanto, cerca di scendere a patti con l’oggetto che stravolge il suo modo di leggere e lavorare. A turbarlo è anche la possibilità che le sue note si inseriscano nel testo dei manoscritti, modificandoli. Aspetto che non resterà privo di conseguenze spassose né di riflessioni o buoni consigli in un romanzo che si può leggere con uguale soddisfazione a diversi livelli di competenza. Non è necessario, per esempio, riconoscere i rimandi mascherati (da Baudelaire a Rimbaud) o tutti i libri dell’Oulipo citati e neppure le allusioni alla celebre Officina di letteratura potenziale, della quale Fournel è storico esponente nonché direttore.
Ci si diverte anche con l’intreccio, le battute, con i calembour di Dubois, che gioca col nome del proprietario della sua sigla, Meunier, per alludere con una can- zoncina a quanto sia prevedibile e ottuso oppure mangia con piacere il cervello «alla meunière ». Non è astio, sa bene che nel «gioco della guerra» lui ha già perso. E ne ha preso atto, ma ciò non gli impedisce di togliersi qualche soddisfazione.
È però vero che se i nomi degli scrittori dell’Oulipo ricorrono in massa per tutto il romanzo, e persino il migliore autore della Dubois ha preso a divertirsi scrivendo brevi testi per gli iPhone e gli iPad, non accade soltanto per onorare con una battuta il ricordo del gruppo: «Sì ma a te piace perché sei il re dell’obbligo, del vincolo» gli dice l’editore; «la principale libertà, mio caro» si sente rispondere. L’esplicito richiamo ai principi del movimento letterario, fondato da Queneau e Le Lionnais nel 1960, è piuttosto un’altra scintilla che si trasformerà in illuminante visione. In fondo, la prima a dirgli che «ci vorrebbe un Perec» è proprio Valentine, la stagista che ama il rock, e gli racconta come i testi letti sul cellulare servano a divertirla la mattina o a intrattenerla in metrò, ma la sera preferisce un libro di carta. Ecco dunque tutti convocati e coinvolti i giovani tirocinanti sfruttati da Meunier, incluso un fratellino nerd quattordicenne. Eccoli proporre testi in puro stile Oulipo, (re)inventando persino il metodo S+7. «In questo momento mi sto occupando degli “autori digitali ante litteram”» dice Valentine (frase capace di rievocare «i plagiatori per anticipazione» dell’Oulipo; con Queneau che sognava un computer per veder sviluppate tutte le potenzialità del suo gioco serio e avanguardista).
È l’immaginazione dei ragazzi al potere, e c’è da divertirsi anche per Dubois che si rivelerà assai più moderno di chi comanda in casa editrice. Senza però strafare. È un uomo anziano, ha svolto il suo compito appieno, non a caso i capitoli del romanzo diventano via via più corti: s’incammina verso il ritiro. E chi avrà notato una straordinaria coerenza nel testo, non si stupirà della nota finale di Fournel, che spiega di aver scritto il libro ricalcando la forma della sestina, rispettando il numero delle strofe e la ripetizione delle parole rima (così qualsiasi modifica apportata al testo lo stravolgerà). Ma non bisogna farsi ingannare se definisce il proprio romanzo «probabilmente l’ultimo del suo genere» ossia di carta. Fournel ha le idee chiare sul futuro del mestiere e il lettore finisce per coglierle.