Corriere della Sera - La Lettura
Oltre 400 opere in mostra alla Gam di Torino e al Castello di Rivoli. Tra il pubblico sarà condotto un esperimento neuroscientifico sull’esperienza di fronte all’arte
su una superficie. Con questo suo bianco profondissimo Laib dimostra come l’arte possa (e debba) essere un’esperienza di vita che va oltre il valore di un materiale. Anche se essenziale come il bianco.
7) L’arancione di Andy Warhol
In mostra, di Andy Warhol (1928-1987), ci sarà l’Orange Car Crash (1963). L’arancione non è certo il colore della morte e del disastro. Nella nostra cultura occidentale rappresenta il calore e la vivacità della vita. È un colore di gioia e non di lutto, ma proprio per questo Warhol se ne appropria per farne uno dei suoi meccanismi di distacco e di raffreddamento del reale. È come se il dolore, rappresentato sull’incongruo colore arancio, andasse fuori sincrono con la sua stessa immagine: il lutto cozza contro la vivacità dell’arancione e nello scontro risuona ancora più cupo, ancora più straniante. Così come la ripetizione dell’immagine serigrafata sulla tela abbassa la drammaticità e insieme la rilancia, anche l’arancione «derealizza» l’incidente stradale e, allo stesso tempo, ce lo restituisce più tragico ancora.
8) L’azzurro di Wassily Kandinsky
Impression Sonntag (1911) è l’azzurro di Kandinsky (1866-1944). Un azzurro che, ancora una volta in questa mostra pie- montese, si rivela molto più di un semplice colore. Un colore che è una percezione mista, un insieme di sensazioni mescolate. Kandinsky, universalmente conosciuto come il fondatore dell’arte astratta, è stato anche colui che ebbe la capacità più penetrante di capire la sinestesia, sia come fusione sensoriale, sia come idea artistica. Esplorando le relazioni tra suono e colore tanto da usare termini musicali per descrivere le sue opere, definendole «composizioni e improvvisazioni». Per Kandinsky i colori divenivano addirittura suoni da fissare sulla tela. Egli sperava, infatti, che i suoi dipinti potessero essere «ascoltati», che i fruitori della sua arte potessero avere «la possibilità di entrare nell’opera, diventare attivi in essa e vivere il suo pulsare con tutti i sensi».
9) Il rosso di Lucio Fontana
L’uso espressivo del colore in Lucio Fontana (1899-1968) ha avuto una funzione rivoluzionaria per l’intera storia dell’arte contemporanea, in quanto costituiscono i primi monocromi del secondo dopoguerra. Come queste Attese del 1961. Fontana (come anche Carla Accardi) ha spesso lavorato con questo colore capace di destare l’attenzione, un colore profondo, un colore ancora una volta ricco di significati psicologici. E così quando un anno dopo la realizzazione di que- sto lavoro, uscì Deserto Rosso di Michelangelo Antonioni, Fontana che lo vide alla mostra di Venezia ne rimase così tanto colpito da realizzare un’ altra versione di Attese, ancora più esasperata, ancora più rossa.
10) Il blu di Yves Klein
Yves Klein (1928-1963) è universalmente noto, tra l’altro, per aver brevettato il suo International Klein Blue, un blu intenso e profondo che gli consentiva, per Elena Volpato, «di avvolgere superfici pittoriche e sculture in una vibrazione cromatica smaterializzante». A Torino sarà presente con questo Portrait relief of Claude Pascal ( 1962). Un’opera che ancora una volta dimostra quanto (e perché) sia unico il blu di Klein: per il suo legame simbolico con l’aria e il cielo, «che lo fa gravitare quasi naturalmente nella dimensione del divino e dell’eterno, a differenza delle tonalità del rosso che parlano di azione e divenire». Perciò Klein, dopo aver lavorato a lungo sul monocromo, identificò la propria tensione verso lo spirituale e l’eternità con il colore blu e con la particolare sfumatura dell’Ikb (l’International Klein Blue brevettato dall’artista).
11) Il verde di Nicola De Maria
Una grande tela di oltre sei metri «che