Corriere della Sera - La Lettura
IL BURATTINO DI IERI È UN CYBORG DI OGGI
Spettacolo elaborato e complesso, ricco di glosse sulla lingua italiana nazionalpopolare e poi di ragionamenti, emozioni, con un finale di travolgente bellezza e recitato con il distaccato incanto richiesto, il Pinocchio in scena a Milano (Teatro Strehler) non è per i bambini ma un’ulteriore sfida di Antonio Latella che richiede dimestichezza con la sua sintassi e le sue ellissi.
Ispirato da Collodi, il regista per la prima volta prodotto dal Piccolo offre una complessa rilettura della «favola» e si dedica al recupero delle radici della memoria: di cui il ricordo, dice, è solo il lato patetico.
Latella tiene a portata di cuore i grandi Pinocchi del passato — Bene e Comencini, non certo Disney — inserendo elementi d’attualità (il film kubrickiano di Spielberg) quando alla fine il bambino parla di burattini di oggi, cyborg, robot, replicanti, affrontando il tema dell’industria della solitudine e tutto diventa chiaro. Per Latella, Collodi voleva che Pinocchio morisse e per lui la grande bugia è quella di Geppetto, dell’adulto: al burattino il naso cresce solo perché ha fame. Il regista pensa che Pinocchio sia come ciascuno lo vuole e vede; e lui l’ha visto come un burattino che vive in una specie di inferno popolato di morti (la fata Turchina, bambina defunta) mentre in scena piovono come neve i trucioli del grande tronco che è l’unico vistoso elemento scenico metaforico, baricentro del dichiarato artificio teatrale.