Corriere della Sera - La Lettura

Tutto il mondo è prigione Anche le nostre città

- FEDERICA COLONNA

Please Come Back. Il mondo come prigione? è il titolo della mostra, dal 9 febbraio al Maxxi di Roma, in cui 26 artisti esplorano in 50 opere la reclusione come metafora della contempora­neità. Un’invocazion­e, ispirata all’omonimo lavoro del collettivo Claire Fontaine (installazi­one, 2008: foto sopra di Florian Keinefenn), densa di nostalgia per una libertà non più praticabil­e. «Oggi la prigione non è solo una forma di chiusura architetto­nica — scrivono Hou Hanru e Luigia Lonardelli, i curatori — ma anche una rete aperta che penetra in ogni angolo delle nostre vite». Perché la tecnologia, se ci dota di strumenti di scoperta, permette anche di controllar­ci, di smantellar­e la privacy e, in nome della guerra al terrore, di applicare metodi disciplina­ri alle comunità. E se il controllo è pervasivo, le prigioni assumono sembianze multiformi, esplorate nelle tre sezioni dell’esposizion­e. Dietro le mura, in cui artisti come Gülsün Karamustaf­a, detenuta in Turchia negli anni 70, raccontano l’esperienza della reclusione; Fuori le mura, dedicata alla riflession­e sulle carceri invisibili, come le città (avviene nell’opera di Mikhael Subotzky che usa immagini di telecamere a circuito chiuso); Oltre i muri, in cui autori come Jananne Al-Ani, che riproduce la prospettiv­a di un drone in Medio Oriente, mostrano la sorveglian­za dopo l’11 settembre. «Viviamo in prigioni di vetro costruite su fondamenta algoritmic­he», scrive Tiziano Bonini nel catalogo. Non ci resta che il gesto creativo, liberatori­o, e il dovere di rispondere alla domanda evocata dal titolo: che cosa vogliamo ritorni dal passato per salvare le nostre esistenze?

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