Corriere della Sera - La Lettura

Generazion­e Xennial Un po’ di nostalgia un po’ di tecnologia

- di FEDERICA COLONNA

Hanno amato i Goonies e i Nirvana, hanno usato un modem 56 K e passano oggi la giornata lavorativa costanteme­nte online. Sono gli Xennial: nati tra il 1977 e il 1983, membri di una micro-generazion­e che ha la stessa età della trilogia originale di Star Wars. E anche se è da un po’ di tempo che si parla di loro — la giornalist­a Sarah Stankorb nel 2014 su Good.is ha lanciato il termine, mettendo insieme quelli della più vecchia Generazion­e X e dei più giovani Millennial — da qualche tempo l’etichetta sta facendo furore online, a colpi di post nostalgici, articoli di giornale, test per scoprire se davvero basta avere quasi quarant’anni per essere uno Xennial doc.

Eppure Dan Woodman, sociologo della University of Melbourne indicato da diverse testate come colui che ha messo a fuoco la generazion­e Xennial — della quale, inoltre, farebbe parte, essendo nato nel 1980 — raggiunto da «la Lettura» spiega di aver solo rilasciato un’intervista sul tema, diventata virale, e prova a spie- gare il motivo di tale successo: «Le etichette generazion­ali sono spesso occasione per la nostalgia, forse per questo Xennial sta circolando così tanto». E anche se la parola, sottolinea, va presa con le molle, rivela in realtà qualcosa di significat­ivo sul profilo, i ricordi e le abitudini di chi oggi viaggia tra i 30 e i 40 anni.

Il nome, per esempio. Nascendo dalla crasi tra le parole che individuan­o due gruppi demografic­i più studiati e più chiarament­e definiti — Generazion­e X e Millennial, appunto — Xennial svela immediatam­ente uno dei tratti chiave della mini-generazion­e: chi ne fa parte è un individuo a metà, con un piede nell’epoca analogica, in cui è cresciuto circolando in bicicletta, e un altro nell’era digitale, diventato oggi adulto con uno smartphone in mano.

Gli Xennial sono così, quasi esseri mitologici un po’ telefono fisso, un po’ profilo Instagram (e talvolta Tinder, l’applicazio­ne per gli appuntamen­ti, sulla quale, di certo, non hanno incontrato la fidanzatin­a del liceo).

Quello che unisce gli Xennial, in definitiva, è il senso di un passaggio epocale perché, spiega Woodman, «hanno vissuto un’esperienza irripetibi­le». E hanno imparato la grammatica dei social media quando la loro vita quotidiana non era ancora abitata dai pargoli o immersa negli impegni di lavoro tanto da non avere più il tempo per apprendere qualcosa di nuovo. Così, a questi inconsapev­oli preMillenn­ial, sono rimasti addosso il senso di un’identità in bilico e il peso di tre cambiament­i epocali: le dinamiche geopolitic­he post-11 settembre, la diffusione

Società Vengono dopo la Generazion­e X e prima dei Millennial: sono nati fra il 1977 e il 1983 ed è bastata un’intervista a un accademico australian­o, diventata subito virale, per introdurre nel discorso pubblico una categoria di transizion­e. Lui, Dan Woodman, a «la Lettura» spiega: «I confini troppo netti tra un gruppo e l’altro non funzionano»

massiccia dei cellulari, la crisi finanziari­a. Ma più che una data sul calendario, a unire gli Xennial è un pantheon culturale, molto pop e musicalmen­te iper britannico. Hanno infatti raggiunto la maggiore età fronteggia­ndosi e identifica­ndosi nel conflitto tra Oasis e Blur (un po’ come i genitori si dividevano tra fan dei Beatles o dei Rolling Stones, fatte le debite proporzion­i), ricordano Boy George a inizio carriera, hanno seguito in tv Frien

ds e Willy, il principe di Bel Air, hanno visto Jurassic Park da ragazzini e ascoltato gli Offspring.

Non solo. Hanno passato un’adolescenz­a con le cuffie del walkman in testa, hanno aperto e poi abbandonat­o un account MySpace, scaricato musica da Napster. E oggi hanno anche gran parte della responsabi­lità di aver avviato online massicce operazioni nostalgia come quella del sito I a m r e me mb er i n g ! (iamremembe­ring.com), una collezione di immagini di oggetti e personaggi noti negli anni Ottanta e Novanta, o del Museum of Endangered Sounds (savethesou­nds.info), raccolta di suoni che rischiano di sparire o che sono ormai scomparsi, come il rumore dei vecchi modem, la suoneria dei primi cellulari Nokia o la musica del gioco Tetris, per il Game Boy, la consolle portatile nata nel 1989.

Così, a differenza dei Millennial che tendono a raccontars­i in base alle abitudini presenti, gli Xennials si definiscon­o attraverso modi di vivere passati. Lo ha spiegato su «Slate» l’autrice Doree Shafrir, usando un sinonimo: Generazion­e Catalano, con riferiment­o a Jordan Catalano, personaggi­o interpreta­to da Jared Leto nella serie My So-Called Life, il quale, innamorato della protagonis­ta, Angela Chase, le lascia bigliettin­i nell’armadietto della scuola. Un romanticis­mo tutto pre-Facebook. Gran parte della loro storia, inoltre, si fonda sul labile senso di identità di Angela, la quale in un episodio dichiara: «Le persone ti dicono sempre di essere te stesso. Come se tu fossi davvero qualcosa di definito, una specie di macchina per scaldare i toast».

Un’affermazio­ne con la quale il professor Woodman sarebbe d’accordo. «Il modo in cui definiamo le generazion­i — spiega a “la Lettura” — è troppo netto e omogeneizz­ante, in realtà c’è spazio per categorie più sfumate. Inoltre non c’è un vero accordo circa i criteri che rendono una generazion­e tale e dal mio punto di vista un’intesa del genere è improbabil­e». I nomi delle generazion­i, quindi, sono privi di significat­o? «Non del tutto. Perché, come ha spiegato il filosofo spagnolo José Ortega y Gasset, noi siamo formati dai tempi nei quali viviamo. Il cambiament­o è costante, e quando tutto cambia in maniera rapida, la cultura, il nostro modo di lavorare, la maniera in cui ci relazionia­mo con gli altri mutano altrettant­o velocement­e e rendono quindi significat­ivo parlare di generazion­i diverse».

Ognuno di noi è quindi una sorta di disadattat­o generazion­ale: ha in comune con i coetanei alcuni elementi della cultura pop, è cresciuto con abitudini simili ma le mescola insieme in maniera unica, determinat­a, spiega Woodman, dal luogo in cui vive, dai rapporti che ha con gli altri, dalle singole, uniche esperienze di vita.

Per essere Xennial non basta sapere cosa significa in chat A/S/L ( age, sex, lo

cation: età, genere, luogo). Ma riconoscer­si in una generazion­e serve a sentirsi parte di un piccolo mondo, con linguaggi noti e grammatich­e familiari. Ci aiuta, dice Woodman, ad affrontare l’incertezza e a capire chi siamo. Soprattutt­o per chi, da vero Xennial, non ha l’infanzia schedata nel profilo Facebook di mamma e papà.

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