Corriere della Sera - La Lettura
Generazione Xennial Un po’ di nostalgia un po’ di tecnologia
Hanno amato i Goonies e i Nirvana, hanno usato un modem 56 K e passano oggi la giornata lavorativa costantemente online. Sono gli Xennial: nati tra il 1977 e il 1983, membri di una micro-generazione che ha la stessa età della trilogia originale di Star Wars. E anche se è da un po’ di tempo che si parla di loro — la giornalista Sarah Stankorb nel 2014 su Good.is ha lanciato il termine, mettendo insieme quelli della più vecchia Generazione X e dei più giovani Millennial — da qualche tempo l’etichetta sta facendo furore online, a colpi di post nostalgici, articoli di giornale, test per scoprire se davvero basta avere quasi quarant’anni per essere uno Xennial doc.
Eppure Dan Woodman, sociologo della University of Melbourne indicato da diverse testate come colui che ha messo a fuoco la generazione Xennial — della quale, inoltre, farebbe parte, essendo nato nel 1980 — raggiunto da «la Lettura» spiega di aver solo rilasciato un’intervista sul tema, diventata virale, e prova a spie- gare il motivo di tale successo: «Le etichette generazionali sono spesso occasione per la nostalgia, forse per questo Xennial sta circolando così tanto». E anche se la parola, sottolinea, va presa con le molle, rivela in realtà qualcosa di significativo sul profilo, i ricordi e le abitudini di chi oggi viaggia tra i 30 e i 40 anni.
Il nome, per esempio. Nascendo dalla crasi tra le parole che individuano due gruppi demografici più studiati e più chiaramente definiti — Generazione X e Millennial, appunto — Xennial svela immediatamente uno dei tratti chiave della mini-generazione: chi ne fa parte è un individuo a metà, con un piede nell’epoca analogica, in cui è cresciuto circolando in bicicletta, e un altro nell’era digitale, diventato oggi adulto con uno smartphone in mano.
Gli Xennial sono così, quasi esseri mitologici un po’ telefono fisso, un po’ profilo Instagram (e talvolta Tinder, l’applicazione per gli appuntamenti, sulla quale, di certo, non hanno incontrato la fidanzatina del liceo).
Quello che unisce gli Xennial, in definitiva, è il senso di un passaggio epocale perché, spiega Woodman, «hanno vissuto un’esperienza irripetibile». E hanno imparato la grammatica dei social media quando la loro vita quotidiana non era ancora abitata dai pargoli o immersa negli impegni di lavoro tanto da non avere più il tempo per apprendere qualcosa di nuovo. Così, a questi inconsapevoli preMillennial, sono rimasti addosso il senso di un’identità in bilico e il peso di tre cambiamenti epocali: le dinamiche geopolitiche post-11 settembre, la diffusione
Società Vengono dopo la Generazione X e prima dei Millennial: sono nati fra il 1977 e il 1983 ed è bastata un’intervista a un accademico australiano, diventata subito virale, per introdurre nel discorso pubblico una categoria di transizione. Lui, Dan Woodman, a «la Lettura» spiega: «I confini troppo netti tra un gruppo e l’altro non funzionano»
massiccia dei cellulari, la crisi finanziaria. Ma più che una data sul calendario, a unire gli Xennial è un pantheon culturale, molto pop e musicalmente iper britannico. Hanno infatti raggiunto la maggiore età fronteggiandosi e identificandosi nel conflitto tra Oasis e Blur (un po’ come i genitori si dividevano tra fan dei Beatles o dei Rolling Stones, fatte le debite proporzioni), ricordano Boy George a inizio carriera, hanno seguito in tv Frien
ds e Willy, il principe di Bel Air, hanno visto Jurassic Park da ragazzini e ascoltato gli Offspring.
Non solo. Hanno passato un’adolescenza con le cuffie del walkman in testa, hanno aperto e poi abbandonato un account MySpace, scaricato musica da Napster. E oggi hanno anche gran parte della responsabilità di aver avviato online massicce operazioni nostalgia come quella del sito I a m r e me mb er i n g ! (iamremembering.com), una collezione di immagini di oggetti e personaggi noti negli anni Ottanta e Novanta, o del Museum of Endangered Sounds (savethesounds.info), raccolta di suoni che rischiano di sparire o che sono ormai scomparsi, come il rumore dei vecchi modem, la suoneria dei primi cellulari Nokia o la musica del gioco Tetris, per il Game Boy, la consolle portatile nata nel 1989.
Così, a differenza dei Millennial che tendono a raccontarsi in base alle abitudini presenti, gli Xennials si definiscono attraverso modi di vivere passati. Lo ha spiegato su «Slate» l’autrice Doree Shafrir, usando un sinonimo: Generazione Catalano, con riferimento a Jordan Catalano, personaggio interpretato da Jared Leto nella serie My So-Called Life, il quale, innamorato della protagonista, Angela Chase, le lascia bigliettini nell’armadietto della scuola. Un romanticismo tutto pre-Facebook. Gran parte della loro storia, inoltre, si fonda sul labile senso di identità di Angela, la quale in un episodio dichiara: «Le persone ti dicono sempre di essere te stesso. Come se tu fossi davvero qualcosa di definito, una specie di macchina per scaldare i toast».
Un’affermazione con la quale il professor Woodman sarebbe d’accordo. «Il modo in cui definiamo le generazioni — spiega a “la Lettura” — è troppo netto e omogeneizzante, in realtà c’è spazio per categorie più sfumate. Inoltre non c’è un vero accordo circa i criteri che rendono una generazione tale e dal mio punto di vista un’intesa del genere è improbabile». I nomi delle generazioni, quindi, sono privi di significato? «Non del tutto. Perché, come ha spiegato il filosofo spagnolo José Ortega y Gasset, noi siamo formati dai tempi nei quali viviamo. Il cambiamento è costante, e quando tutto cambia in maniera rapida, la cultura, il nostro modo di lavorare, la maniera in cui ci relazioniamo con gli altri mutano altrettanto velocemente e rendono quindi significativo parlare di generazioni diverse».
Ognuno di noi è quindi una sorta di disadattato generazionale: ha in comune con i coetanei alcuni elementi della cultura pop, è cresciuto con abitudini simili ma le mescola insieme in maniera unica, determinata, spiega Woodman, dal luogo in cui vive, dai rapporti che ha con gli altri, dalle singole, uniche esperienze di vita.
Per essere Xennial non basta sapere cosa significa in chat A/S/L ( age, sex, lo
cation: età, genere, luogo). Ma riconoscersi in una generazione serve a sentirsi parte di un piccolo mondo, con linguaggi noti e grammatiche familiari. Ci aiuta, dice Woodman, ad affrontare l’incertezza e a capire chi siamo. Soprattutto per chi, da vero Xennial, non ha l’infanzia schedata nel profilo Facebook di mamma e papà.