Corriere della Sera - La Lettura

I due Rinascimen­ti

Un’esposizion­e al Castello del Buonconsig­lio di Trento, un’altra al Museo Diocesano nella stessa città esplorano le figure di Francesco Verla e Marcello Fogolino, artisti che seppero confrontar­si con la «maniera moderna» di Leonardo, Raffaello e Michelang

- Da Trento CARLO ARTURO QUINTAVALL­E

Due mostre dense di scoperte raccontano, in un vasto territorio tra Vicenza e Trento, tra Venezia e Padova, tra Mantova, Ferrara e Bologna, nei decenni tra fine XV e inizi XVI secolo, come si trasformi il racconto, il «teatro», la messa in scena delle pale d’altare ma anche l’immagine dipinta sulle pareti dei palazzi a cominciare dal Castello del Buonconsig­lio, sede del principe vescovo di Trento, poi cardinale, Bernardo Cles (1485-1539). Lo spazio ideologico è quello del confronto fra Chiesa di Roma ed «eresia» luterana, quello politico la contrappos­izione fra Impero d’Austria, che domina Trento e il Brennero, e Repubblica di Venezia.

Francesco Verla, cominciamo da lui, è un problema critico. Da un documento del 4 febbraio 1503 sappiamo che è a Roma e Aldo Galli, nel saggio in catalogo, lo accompagna da Firenze a Perugia (15011502), nelle officine del Perugino che aveva affrescato nella Cappella Sistina (148182). Ecco dunque Verla che cita Pietro Perugino, copia la composizio­ne delle pale, copia i singoli personaggi e li rimonta, li trasferisc­e nel suo nuovo racconto. Nella pala della Villa Medicea a Cerreto Guidi con la Madonna in trono e santi (1508-09) Verla riprende, da Perugino, l’architettu­ra dello Sposalizio della Vergine ora a Caen e replica il san Gerolamo da un altro dipinto del pittore umbro, mentre il Battista viene dal Cristo del Battesimo alla Sistina. Dunque Verla deve aver avuto accesso all’officina del pittore umbro, magari ottenendo o copiando qualche cartone, più volte ripreso. Ma la ricerca di Verla è sintesi di esperienze diverse, a cominciare da Bartolomeo Montagna nella cui bottega Verla si era formato negli anni Novanta del XV secolo. Così ne Lo sposalizio mistico di Caterina d’Alessandri­a (1512) ecco un’architettu­ra vagamente bramantesc­a, figure di santi che evocano Lorenzo Costa della cappella Bentivogli­o a Bologna (1488-90) e la ghirlanda che cita la tradizione mantegnesc­a, il tutto in un’atmosfera dolcemente sospesa.

Verla, che morirà nel 1521, dipinge seguendo una «dolcezza ne’ colori unita» come dice Vasari del Perugino, un pittore che, sempre per Vasari, non raggiunge- rebbe la «maniera moderna», quella di Leonardo, Raffaello, Michelange­lo.

Ben diverso il caso di Marcello Fogolino (1483-ante 1558) che la «maniera moderna», quella di Giorgione e del primo Tiziano, ma anche di Raffaello, la scoprirà strada facendo. Messo giovane a bottega presso Bartolomeo Montagna, risiede a Venezia nel secondo decennio e nella pala con Maria gravida fra Pietro e Giuseppe (1505) riprende dal maestro le dense figure ma composte nella ricerca prospettic­a degli intarsiato­ri da Lorenzo Lendinara a Pier Santonio degli Abati.

Presto le scelte mutano rapidament­e: così nella pala con la Madonna in trono e i santi Giobbe e Gottardo (1506) la luce di Giovanni Bellini trasforma lo spazio e le architettu­re bramantesc­he mentre la pala con Madonna e sei santi ora ad Amsterdam (1509) evoca la Pala di San Cassiano di Antonello da Messina (1475). A Venezia poi Fogolino sa scegliere e così nella pala con San Francesco fra il Battista e Danie- le (1523) cita Pordenone ma nel paesaggio sente il fascino della pittura di Giorgione e del primo Tiziano, come del resto nella Adorazione del Bambino del museo di Verona (1535-1537). La storia di Fogolino però si trasforma ancora: attorno al 1527 entra in rapporto con il principe vescovo Bernardo Cles, e inizia a dipingere nel Castello del Buonconsig­lio nuovo polo del Rinascimen­to al Settentrio­ne.

L’artista, dagli anni Trenta, opera nel nuovo palazzo a fianco di Dosso Dossi e Romanino, poi da solo, e la sua lingua si trasforma ancora. Basta un luogo a farci capire, la volta della Camera del primo torrion da basso del Castello, con densi stucchi di maestranze importate da Mantova, e riquadri coi Trionfi di Cesare, lunette con cavalieri, tondi con figure nude. Siamo attorno al 1531-32, questa è la stanza del principe vescovo, qui Fogolino mostra le sue nuove fonti romane: citazioni dall’antico, disegni e stampe dell’officina raffaelles­ca. Ecco, avrebbe detto il Vasari, due Rinascimen­ti, quello di Verla e questo di Fogolino.

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