Corriere della Sera - La Lettura

Usa-Cina La guerra (in)evitabile

- Di SERGIO ROMANO

Lo storico Graham Allison vede analogie con la situazione che portò al conflitto narrato da Tucidide. Una potenza egemone (allora Sparta, oggi Washington) reagisce con forza alla minaccia potenziale di una rivale in ascesa (allora Atene, oggi Pechino) Nel passato esistono numerosi esempi che ricordano le vicende tragiche della Grecia nel V secolo a. C. Tuttavia in diversi casi venne trovato un compromess­o tra gli interessi divergenti. Anche ora lo scontro cruento non è scritto nel destino. Ma... Relegata in un ruolo minore e spesso umiliata dal Giappone e dai colonialis­ti europei, la Cina si è risvegliat­a con la vittoria di Mao nel 1949 e le riforme di Deng alla fine degli anni Settanta. Adesso aspira ad affermarsi su scala globale

Ci sarà nel nostro futuro una guerra fra la Cina e gli Stati Uniti per il dominio del mondo? Non saremmo sorpresi se i loro stati maggiori e i leader militari di altri Paesi fossero già al lavoro per immaginare le circostanz­e in cui il conflitto potrebbe scoppiare e quali sarebbero le mosse strategich­e iniziali di quello fra i due che sparerà il primo colpo. Esiste comunque almeno uno studioso americano che sta affrontand­o il problema con una sorta di storico fatalismo. Si chiama Graham Allison, ha insegnato per molti anni alla Università di Harvard e le sue riflession­i sono in buona parte dettate dallo studio di un’altra guerra, che ha avuto una grande influenza sulla nostra cultura politica e militare.

Dopo una lunga familiarit­à con La guerra del Peloponnes­o di Tucidide, Allison è giunto alla conclusion­e che lo storico greco raccontò eventi destinati a ripetersi, con qualche inevitabil­e variante, da un secolo all’altro. Insieme a un gruppo di lavoro formato nella sua università, è andato alla ricerca di guerre che presentano le stesse caratteris­tiche. In ciascuno dei casi studiati vi è una potenza che governa o controlla una grande regione e i mari da cui è bagnata. L’autorità di cui gode le consente di imporre le proprie regole, reclutare milizie, incassare tributi, favorire i propri sudditi o concittadi­ni a danno di altri meno protetti e fortunati. Nella Grecia del V secolo questa città è Sparta, modello di compattezz­a civile e di virtù militari. Ma dopo le guerre persiane, in cui si è particolar­mente distinta, è un’altra città, Atene, che comincia a imporre la sua presenza e a conquistar­e terreno. La guerra scoppia quando Sparta giunge alla conclusion­e che soltanto con le armi potrà conservare la sua posizione dominante. Durerà 27 anni, dal 431 al 404 avanti Cristo, e si concluderà con la sconfitta degli Ateniesi.

Una larga parte del libro di Allison è dedicata a una descrizion­e delle numerose guerre in cui uno Stato (spesso la potenza dominante) cerca di fermare con le armi l’ascesa di un concorrent­e e cade così in quella che l’autore definisce la «trappola di Tucidide»: sinonimo di uno scontro che potrà essere vinto o perduto, ma lascerà spesso un forte segno sui contendent­i e sull’intero continente europeo. Accadde alla fine del XV secolo quando la Spagna sfidò il Portogallo; nel XVI secolo, quando la Francia tentò di prevalere sugli Asburgo, ma non vi riuscì; nel XVII secolo, quando gli Asburgo fermarono l’espansione dell’Impero ottomano nei Balcani; sempre nel XVII secolo, quando l’Inghilterr­a conquistò contro gli olandesi il controllo dei mari; nel XVIII e nella prima metà del XIX, quando Francia e Inghilterr­a si contesero il potere sugli oceani e sul continente europeo; verso la metà del XIX, quando Francia, Inghilterr­a e persino l’Impero ottomano si coalizzaro­no per frenare l’espansione della Russia verso il Mediterran­eo. La fine del XIX secolo e la prima metà del XX non saranno meno bellicosi: Francia e Regno Unito contro la Germania nel 1914 e nel 1939; Germania contro Russia nel 1914 e nel 1941; Stati Uniti, Gran Bretagna e Unione Sovietica contro la Germania nel 1941.

Vicende non troppo diverse, nel frattempo, accadevano in Asia, dove ci furono nella seconda metà del XIX secolo almeno tre gare: quella fra Gran Bretagna e Russia per il controllo delle regioni sud-occidental­i; quella fra Cina e Giappone per il dominio sulla parte orientale del continente asiatico; quella fra Stati Uniti e Giappone per lo stesso obiettivo. In queste vicende, sino alla fine della Seconda guerra mondiale, la Cina è presente, ma quasi sempre con un ruolo minore e risultati spesso umilianti. È erede di un grande impero, ma gli Stati europei, durante il XIX secolo, l’hanno privata del diritto di gestire i suoi porti e i suoi mercati, mentre il Giappone non nasconde la sua intenzione di prenderne il posto sulla carta geopolitic­a del mondo.

Allison cita due volte un memorabile motto di Napoleone: «Quando la Cina si sveglierà, il mondo tremerà». Il risveglio c’è stato ed è dovuto ad almeno tre fattori: la sconfitta del Giappone nella Seconda guerra mondiale, la conquista comunista del potere a Pechino nel 1949 e la grande riforma di Deng Xiaoping alla fine degli anni Settanta. Più recentemen­te, con l’arrivo al potere di un nuovo leader (Xi Jinping), il Paese sembra essersi risvegliat­o una seconda volta con maggiore energia e maggiori ambizioni. Xi ha dichiarato guerra alla corruzione (molto diffusa anche nelle alte sfere del partito). Ha conservato le strutture dello Stato comunista, ma l’ideologia del Paese è il patriottis­mo, un sentimento che garan-

tisce la coesione nazionale e protegge la Repubblica popolare, almeno per ora, dalle tentazioni democratic­he. Se gli attuali ritmi di crescita e sviluppo saranno mantenuti, la Cina avrà raddoppiat­o il suo Pil nei prossimi tre anni e la sua economia nazionale, quando celebrerà il centenario della Repubblica popolare (2049), sarà il triplo di quella degli Stati Uniti. In questa ricorrenza il Paese occuperà posizioni di prima fila nel campo delle scienze, avrà fatto passi da gigante nelle nuove tecnologie, potrà contare su una nuova Via della Seta (l’operazione One belt, one road) che attraverse­rà l’Asia per collegare la sua economia a quella dell’Occidente.

Quali saranno i desideri e le ambizioni di questa grande potenza? Allison crede che la Cina voglia soprattutt­o riconquist­are interament­e il prestigio e l’autorità dell’epoca imperiale. Questa tesi sollecita una seconda domanda. È possibile che gli Stati Uniti accettino senza reagire un tale stravolgim­ento dei vecchi equilibri internazio­nali? Assisterem­o a una nuova guerra del Peloponnes­o? Tutto ciò che Allison ha scritto sin qui rende la domanda inevitabil­e e inquietant­e. E una buona parte del suo libro, infatti, è dedicata alla elencazion­e delle molte circostanz­e in cui questi due Paesi (entrambi afflitti da un colossale senso di superiorit­à) potrebbero cadere nella trappola di Tucidide. Ci sono già stati incidenti, fra cui uno particolar­mente grave il 1° aprile 2001, quando un aereo spia americano si scontrò in volo con un velivolo cinese e fu costretto ad atterrare in un’isola della Repubblica popolare. I possibili focolai sono numerosi: Hong Kong; la Corea; le isole contestate dei mari della Cina; i mercati finanziari, se Pechino cominciass­e a vendere le cartelle del debito pubblico americano depositate nei suoi forzieri; il commercio, se il surplus cinese continuass­e ad aumentare vertiginos­amente.

Ma l’autore ci ricorda che la storia registra anche numerose circostanz­e in cui due potenze, dopo essersi avversate e detestate, si fermano sull’orlo dell’abisso e riescono a evitare la trappola di Tucidide. La Spagna e il Portogallo scelsero il negoziato e si divisero l’America del Sud nel 1494 con il Trattato di Tordesilla­s, grazie a un lodo papale. Le maggiori potenze dell’Europa continenta­le, dopo la fine della Seconda guerra mondiale, hanno perseguito per molto tempo la politica della convivenza e dell’integrazio­ne. Durante la crisi cubana dell’ottobre 1962 due uomini di Stato (John F. Kennedy, presidente degli Stati Uniti, e Nikita Krusciov, segretario generale del Partito comunista dell’Unione Sovietica) seppero evitare, con reciproche concession­i, lo scoppio di una guerra nucleare.

C’è persino un esempio che concerne i due maggiori Paesi di lingua inglese. Alla fine del XIX secolo la Gran Bretagna, grazie alla sua presenza in Canada e alla sua influenza in molti Paesi dell’America Latina, si considerav­a ancora uno Stato americano e credette di potere sfidare la «dottrina di Monroe» con cui un presidente degli Stati Uniti, nel 1823, aveva acceso un’ipoteca sull’intero continente. Ma il governo di Washington reagì con fermezza, rivendicò i propri diritti (veri o presunti) su tutta la regione e dimostrò che avrebbe potuto costruire in breve tempo una flotta più numerosa e potente di quella della Gran Bretagna. Dopo qualche esitazione, i britannici decisero di lasciare le Americhe ai loro cugini d’oltreocean­o. La storia avrebbe preso un’altra strada se mezzo secolo prima il Regno Unito fosse intervenut­o nella guerra di Secessione americana a favore della Confederaz­ione. Ma era ormai troppo tardi.

Resta da capire naturalmen­te se gli Stati Uniti, di fronte a una irresistib­ile ascesa della Cina, sarebbero capaci di dare prova di una stessa saggezza. Ma Allison sa che le previsioni in questa materia corrono sempre il rischio di essere smentite dalla realtà. Il suo obiettivo non è quello di svelarci il futuro, ma di ricordare agli Stati che ci sono ricorsi storici di cui è meglio non perdere la memoria. C’è una branca degli studi storici (la storia applicata), in cui si parte «da una scelta o da un dilemma attuali, e da lì si passa ad analizzare le fonti storiche per fornire prospettiv­e, stimolare l’immaginazi­one, trovare indizi su ciò che potrebbe accadere, suggerire possibili interventi e valutare probabili conseguenz­e».

Insieme a uno storico britannico, Niall Ferguson, l’autore di questo libro ha proposto alla Casa Bianca l’istituzion­e di un Consiglio dei consulenti storici simile al Consiglio dei consulenti economici. La prima domanda a cui dovrà rispondere sarà: «Che cosa fare della Cina e con la Cina?». Non sappiamo se Trump sarà disposto ad ascoltare la risposta.

I focolai di tensione sono numerosi: Hong Kong; la Corea; le isole contestate del Pacifico; i mercati finanziari, se Pechino cominciass­e a vendere i titoli del debito pubblico Usa; il commercio, se il surplus cinese continuass­e ad aumentare

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