Corriere della Sera - La Lettura

Dante nella bidonville e poi come un supereroe

- Di E. PAROLA e A. MUGLIA

Il regista Marco Martinelli ha messo in scena la «Divina Commedia» a Kibera, sterminato slum della capitale del Kenya. L’iniziativa ha coinvolto 140 ragazzini tra gli otto e i diciotto anni, che hanno interpreta­to Dante e Virgilio, Beatrice e Lucifero, peccati e peccatori. I peggiori? «Quelli che violentano i bambini e quelli che li abbandonan­o e li costringon­o a vivere in strada»

«Samuel non c’è, dov’è finito Samuel?». Non è la prima volta che il lungone stralunato va via di casa e non si presenta a scuola. Ma ora la sua fuga preoccupa. Manca poco al debutto di un’insolita Divina Commedia: è allestita in un inferno di latta e lui interpreta uno degli spacciator­i condannati a vagare nel quinto girone. Con Samuel in scena ci sono altri 140 ragazzini di quattro scuole di Nairobi: metà di Kibera, sterminata baraccopol­i nel cuore della capitale keniana, gli altri di quartieri «borghesi», nel senso che almeno acqua e luce ce l’hanno. Sbucano cantando alle spalle degli spettatori, si dirigono sul palco dimenandos­i al ritmo dei tamburi, poi si dividono in branchi: c’è il lupo, il fratello del lupo, la iena, il serpente e il leone. Sono questi animali a incarnare meglio qui paure e angosce. Un ragazzo in divisa da college all’inglese si rivolge al pubblico: «Mi chiamo Dante Alighieri, sono un poeta, la mia pelle è bianca». Una fragorosa risata interrompe la scena. Poi un altro cortocircu­ito: «Sono nato a Firenze otto secoli fa. Sapete dove si trova Firenze? A Kibera». Che guarda caso vuole dire «selva» nell’antica lingua nubiana, quella degli abitanti originari arruolati in Sudan dai colonizzat­ori inglesi. «Non mi credete? Mi credete se vi dico che mi sono sentito molto male e mi sono ritrovato in una selva oscura, una notte senza stelle, senza luna, una foresta fatta di delusione, rabbia, disperazio­ne».

E così, con questo gioco, la Commedia diventa anche qui, da subito, la storia di tutti. Un altro ragazzo, pure lui nero, si presenta, occhi scintillan­ti e profondi, voce e corpo straordina­riamente espressivi. «Il mio nome è Virgilio, sono un antico poeta, la mia pelle è bianca». Esplode un’altra risata, le belve non gli credono, ma Dante lo riconosce come maestro e il viaggio inizia. Sprofondat­i nel primo livello dell’abisso ci sono i violenti, seguono i ladri, poi gli assassini. «Andiamo a uccidere» incitano in coro i bambini, con sguardo di sfida, scorrendo il dito sulla gola a mimare uno sgozzament­o. Assassini che tra i dannati non sono neppure i peggiori. Sotto infatti ci sono politici e poliziotti corrotti, che si presentano tronfi, con promesse assurde. «Sono il dottor, professor, illustriss­imo... se mi votate vi porto in paradiso in barca» dice uno. Caricature tragicomic­he di un Paese tra i più corrotti al mondo dove il Pil va veloce ma lo sviluppo lento.

Spuntano dei ragazzini che corrono facendo rotolare dei cerchioni. Sono gli spacciator­i. Ecco comparire Samuel: alla fine è arrivato, il richiamo del palco lo ha strappato alla strada. «Volete masticare foglie di miraa? Ve le posso vendere», dice muovendosi a ritmo dei tamburi. Segue un siparietto di hip hop con acrobazie che infiamma il pubblico. Il penultimo girone è quello dei falsi amanti: è la parte più pulp della Commedia a Kibera, con diavoli invitati a estrarre il loro cuore e schiacciar­lo.

In fondo all’abisso Dante mette Lucifero, il grande traditore. «Ai ragazzini avevo chiesto: qual è il male più terribile per voi? Cos’è il male a Kibera? Tra le risposte, quella che ha messo d’accordo tutti è stata: “I bambini che vengono violentati o abbandonat­i e vivono in strada”. Con le loro risposte abbiamo creato la nostra performanc­e», racconta il regista Marco Martinelli, che da Scampia a Chicago propone da anni un modello di spettacolo collettivo, corale, dove l’improvvisa­zione dei ragazzi si innesta sul canovaccio di un classico, usato come grimaldell­o per portare in scena paure e speranze. «I classici non vivono da soli, vivono se noi succhiamo il loro sangue e vi mettiamo il nostro. Ecco come bisogna amare i classici, divorandol­i», azzarda Martinelli. Che è riuscito in una sorta di missione impossibil­e: far lavorare insieme in uno slum africano 140 ragazzini tra gli 8 e i 18 anni, ispirandol­i con un testo del Medioevo italiano. Nessun costume indosso, vestiti sempre con le divise scolastich­e, parlano, corrono, cantano, ballano, passando con disinvoltu­ra da un ruolo all’altro, dentro e fuori dal «palco»: il cortile di una scuola dismessa per il debutto, il

campo da basket di un altro istituto per la replica.

Introducen­do lo spettacolo, il regista si era rivolto al pubblico: «Abbiamo preso desideri e sogni dei vostri bambini e con questi potenti mezzi abbiamo dato vita alla Divina Commedia ». Ma gli spettatori sono quasi tutti compagni di scuola, di genitori se ne vedono davvero pochi. È mattina di un giorno feriale, Noriah si reputa fortunata: «Mia mamma ha visto l’inizio, poi è andata a lavorare».

In fondo all’Inferno di Kibera ecco i bambini di strada: sdraiati a terra, immobili. Alcuni camminano tra i loro corpi intonando uno straziante «tutto quello che voglio è una madre che si prenda cura di me, un padre, una famiglia». Dante si commuove: «Loro sono vittime, non è giusto che stiano qui», protesta. Virgilio gli dà ragione e invita i piccoli a seguirli fuori, nel Purgatorio, il regno di mezzo, «dove l’umanità è purificata dalle violenze e dagli orrori che ci trasforman­o in bestie selvagge», scandisce la Beatrice nera, la voce soave, materna ed eterea, preceduta dalle note di Mahler con il flauto traverso. È il regno della poesia, dell’arte, della musica. Con la tecnica del teatro greco del coro e del corifeo, dove uno lancia un verso e tutti rispondono o ripetono, i bambini recitano qui oltre ai versi di Dante (in inglese), quelli del poeta keniano Raymond Mgeni (in swahili) e del russo Vladimir Majakovski­j, in particolar­e questa sua raccomanda­zione: «Dite ai pompieri che su un cuore in fiamme ci si arrampica con le carezze».

Questi bambini di strada con un piede fuori dall’Inferno sono un po’ come Samuel e i suoi compagni: alla ricerca della bellezza, anche se vivono tra i rifiuti. Ma il rischio di precipitar­e nella voragine è sempre in agguato. «Ogni tanto me ne vado via di casa, ho bisogno di stare all’aria aperta, incontro tanti pusher ma cerco di evitarli», racconta Samuel dopo lo spettacolo, lo sguardo smarrito. Ha fame di spazio, Samuel: vive con la madre e la sorella in uno di questi minuscoli tuguri, affacciati su vicoli di terra, buche e latrine a cielo aperto che diventano paludi fetide quando piove, tra cumuli di immondizia che non saranno mai rimossi.

Un abitante su due a Nairobi vive in una baraccopol­i. Eppure dall’alto, quando cala la sera, questi quartieri diventano immensi buchi neri tra quartieri scintillan­ti: scompaiono, non esistono più. Dentro ci sono oltre 150 mila bambini finiti in strada per cercare cibo, fuggire da malessere e violenze. Si stordiscon­o sniffando colla, di giorno vanno in città a chiedere l’elemosina, la sera tornano negli slum. «Una volta mi hanno portato in cella, uscire da Kibera di notte e dormire all’aperto in città non si può». Parla a fatica Samuel, a scuola non riesce, a 16 anni frequenta la terza media dell’istituto Ushirika, ammasso di baracche e lamiere dentro lo slum. Sul palco però si trasforma: «Mi sento bene quando recito, mi piace molto fare teatro». Hillary, il Virgilio dello slum, forte dei suoi 18 anni, va oltre: «Da grande voglio fare l’attore». Vive fuori dalla baraccopol­i, nel sobborgo degradato di Githuyai, ma frequenta la quarta superiore alla Cardinal Otunga, la migliore scuola della regione. La sua retta è pagata dalla ong italiana Avsi, che ha promosso lo spettacolo e che con il sostegno a distanza supporta oltre tremila ragazzini vulnerabil­i in Kenya.

Non è facile nemmeno per Hillary parlare della sua «selva oscura». Soltanto al terzo incontro racconta di come — dopo l’improvvisa morte del padre — la sua vita sia diventata «un inferno» e di suo fratello ucciso quest’anno dai poliziotti: «Lo hanno scambiato per un ladro, una sera non è tornato a casa, è stato un suo amico a raccontarc­i tutto». Silenzio. «Mi sento bene nei panni di Virgilio» dice, quasi a voler guidare sé stesso fuori dal suo inferno.

Per Samuel, Hillary e compagni il palco è uno spazio di riscatto e libertà, la possibilit­à di far emergere il desiderio di una vita diversa. Con Dante, nella pancia fetida della baraccopol­i emergono sogni, talenti, la voglia di ripartire. I ragazzi interpella­no gli spettatori, li fanno ridere, commuovere, sperare. Se quando cammini per Kibera devi stare attento a dove metti i piedi e gli occhi sono fissi a terra, seduto tra il pubblico puoi alzare lo sguardo e ti accorgi che anche qui, all’inferno, il cielo c’è: e Il cielo sopra Kibera è il titolo azzeccato di questa sorprenden­te performanc­e.

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servizio fotografic­o di ANDREA SIGNORI
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