Corriere della Sera - La Lettura

Il Dio miope di Sloterdijk Il filosofo considera irrilevant­e la fede perché guarda al luteranesi­mo tedesco La vitalità di altre Chiese evangelich­e nei Paesi poveri dimostra tuttavia che il richiamo religioso resta potente

Una raccolta di scritti riconosce l’importanza essenziale di Cristo, la cui condizione di irregolare fonda la dignità individual­e dell’uomo. Il limite del libro sta nel giudicare residuale il legame con la trascenden­za nel mondo odierno, che invece presen

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Peter Sloterdijk divenne famoso in Germania nel 1983 quando pubblicò la Critica della ra

gion cinica, tradotta da Garzanti dieci anni dopo e ora nel catalogo di Raffaello Cortina, come tutti gli altri scritti del filosofo accessibil­i in italiano. La sua opera è stata oggetto di polemiche, specie dopo una conferenza del 1999 in cui sembrava sostenere che le manipolazi­oni genetiche, in futuro, potranno forse rappresent­are il modo migliore per conseguire i risultati che l’umanesimo tradiziona­le riconducev­a ai frutti dell’educazione.

In termini generali, l’intento fondamenta­le di Sloterdijk consiste in una rivisitazi­one dell’itinerario filosofico dell’Occidente, alla cui metafisica attribuisc­e una natura sostanzial­mente totalitari­a e globalizza­nte. A suo dire anche il progetto emancipato­re della modernità e in particolar­e dell’Illuminism­o si risolve, in evidente contraddiz­ione con sé stesso, nell’esaltazion­e di un progresso la cui unica misurabili­tà si è ridotta al profitto economico.

In un simile disegno, l’analisi critica della religione è stata al centro di numerosi scritti di Sloterdijk, in particolar­e Il furore di Dio (2008). Ora appare da Cortina una raccolta di altri saggi, scritti tra il 1993 e il 2017, che sin dal titolo Dopo Dio ruotano attorno alla celebre diagnosi nietzschia­na secondo cui «Dio è morto». Ma per Sloterdijk il crepuscolo degli dèi celebrato da Richard Wagner sulla scia di Friedrich Nietzsche si trasforma necessaria­mente nel crepuscolo della civiltà, almeno così come l’abbiamo conosciuta: negli ultimi tre secoli, la creatività umana è stata capace di cambiare il mondo più di quanto sia accaduto in milioni di anni di evoluzione naturale, secolarizz­ando così il mondo, non più creato da Dio. In particolar­e, le scienze cognitive e l’intelligen­za artificial­e hanno determinat­o il tramonto dell’«anima» — intesa come la mente, l’intelligen­za o in qualsiasi altro modo si voglia indicare la soggettivi­tà creatrice dell’uomo — a favore di un processo in cui le prestazion­i dello spirito si trasferisc­ono alle macchine e all’intelligen­za artificial­e.

La visione di Sloterdijk, però, non appare determinis­tica o acritica. In quello che è forse il capitolo più intri-

gante del volume, «Il bastardo di Dio: la cesura di Gesù», viene riletta la paradossal­e condizione di quest’ultimo: la sua particolar­e nascita, se si vuole la sua condizione di figlio illegittim­o su questa Terra, lo colloca al di fuori della logica di appartenen­za propria della discendenz­a umana, a favore di una libertà radicale.

La cancellazi­one dei genitori terreni (Mt 10,37: «Chi ama il padre e la madre più di me non è degno di me») in nome di un Padre celeste del tutto estraneo alle logiche di questo mondo (Mt 12,50: «Chiunque fa la volontà del padre mio che è nei cieli, questi è per me fratello, sorella, madre»), al tempo della secolarizz­azione compiuta diviene per Sloterdijk figura dell’insopprimi­bile dignità individual­e: «Nell’epoca “dopo Cristo” a nessun essere umano può essere negato il diritto di vivere la propria vita come bastardo di Gesù. Un Giordano si trova ovunque. In un posto qualsiasi un essere umano può, uscendo dall’acqua, sentire una voce che proviene dall’alto e che dice che quello è il suo figlio prediletto, nel quale lui stesso, l’Altissimo, si è compiaciut­o».

Non mancano nel libro le diagnosi sulla condizione attuale delle religioni storiche. In generale, Sloterdijk ritiene che esse abbiano carattere residuale; anche i fenomeni più vistosi di ritorno al sacro, quali le diverse forme di integralis­mo, sono destinati a scomparire. Così come il Nuovo si è aggiunto all’Antico Testamento, e lo ha superato, è ora necessario — o forse inevitabil­e, allineando­si alla visione di Sloterdijk — redigere il «Testamento Più Nuovo», che assuma e confermi aspetti dei precedenti, ma al tempo stesso ne obliteri altri. Vi si deve raccoglier­e ciò che l’insieme delle diverse culture non deve dimenticar­e, se intende procedere sotto il segno di una civiltà superiore. Ma, al di là dell’apparente ecumenismo, l’immagine rivela la sua matrice cristiana, drasticame­nte secolarizz­ata dal processo storico degli ultimi due secoli: dietro alla ormai tenue superficie religiosa che lo riveste, il «Testamento Più Nuovo» racconta non più di Dio e della sua rivelazion­e, bensì di diritti umani, delle scienze e delle arti che costituisc­ono il prodotto più alto di una comunità che non si definisce più come Chiesa, ma si apre a tutti coloro che sono disposti a creare, conoscere e imparare.

Un esempio significat­ivo per capire che cosa intenda Sloterdijk è dato dalla sua analisi del protestant­esimo (in realtà si riferisce alle Chiese storiche luterane), che ha rappresent­ato l’innesco della modernità, ma si è ormai esaurito nella sua parabola e risulta impossibil­itato a entrare «in relazione con l’atmosfera fondamenta­le dei sentimenti odierni legati al mondo e alla vita».

Emerge qui il limite della prospettiv­a di Sloterdijk sull’oggetto specifico e più in generale della sua intrapresa intellettu­ale: la comprensio­ne occidental­e, europea, se non addirittur­a tedesca, della storia dell’umanità (e del presente che ne sarebbe l’inevitabil­e prodotto) porta necessaria­mente con sé una capacità predittiva a prova di smentita?

Certo, Sloterdijk non è ingenuamen­te fiducioso nelle «magnifiche sorti e progressiv­e», ma proprio le vicende delle più vitali metamorfos­i della tradizione protestant­e, le Chiese e i gruppi pentecosta­li ed evangelica­li, la loro diffusione e il loro successo a livello globale suggerisco­no di guardare al mondo anche da orizzonti più decentrati: in fondo, il Giordano del battesimo di Gesù si trovava ai margini della prima globalizza­zione, quella dell’Impero romano.

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