Corriere della Sera - La Lettura
Caproni sta con Char: resistere alla fatalità
Ci sono delle consonanze biografiche, come la partecipazione alla Resistenza, ma il legame fra l’italiano e il francese va oltre. Come nelle versioni ora raccolte e ripubblicate. E come nella decisiva figura della Bestia, dai tanti significati
Quando nel 1962 uscì per Feltrinelli Poesie e prosa, il primo volume italiano dedicato interamente a René Char, venivano offerte implicitamente al lettore italiano due strade di poesia, una già quasi conclusa e l’altra soltanto all’inizio. Le strade erano rispettivamente quelle dei traduttori, Giorgio Caproni e Vittorio Sereni, i cui nomi, per un’infelice scelta editoriale, figuravano soltanto in corpo minore nella pagina del copyright.
I fatti sono noti. Se per Caproni la relazione con Char non ha avuto un seguito importante, per lo meno esplicito, rimanendo per decenni confinata a queste traduzioni semi-sommerse (se si eccettua l’inclusione di alcune nel Quaderno
di traduzioni caproniano, curato da Enrico Testa per Einaudi nel 1998); viceversa quella di Sereni ha avuto sviluppi perfino eclatanti, nel rapporto intrecciato e, di fatto, poco districabile tra poesia, poetica, traduzione e riflessione critica. Non si tratta di stabilire se e in che modo Char abbia influito sulla poesia di Sereni, tanto più se si pensa che Traducevo Char, la se- zione di Stella variabile dedicata al poeta francese, non è cosa particolarmente riuscita. È vero semmai che il confronto con Char, che non è stato soltanto poetico (l’uomo della Resistenza, il cosiddetto maquis, l ’ uno; i l pri gi oniero « s e nza l’onore delle armi», l’altro), per il poeta italiano ha significato una straordinaria possibilità di crescita di poesia e di pensiero, uno stimolo all’autoconsapevolezza e alla definizione del proprio particolare destino. Fontaine de Vaucluse, la sorgente, la Sorgue, il fiume del poema, il paesaggio... La costellazione poetica che richiama Sereni verso la Provenza di Char è estremamente feconda, tanto più che si tratta in realtà di una triangolazione, perché il rapporto con quei luoghi comprende anche e soprattutto il suo poeta prediletto, Francesco Petrarca.
La riproposta di una parte delle antiche traduzioni di Caproni per il volume delle Poesie di Char (Einaudi) riporta adesso l’attenzione sull’altro corno, magari meno sostanzioso ma comunque importante, di questa vicenda. La cura è di Elisa Donzelli, che ormai da tempo sta delucidando i rapporti complessi di quell’importante momento della nostra poesia del secondo Novecento che lega i due poeti italiani a una possibile funzione-Char. Chissà, forse Caproni non ha avuto bisogno di tornare e ritornare sul poeta francese proprio perché la sua assimilazione è stata più semplice e naturale, meno problematica. Ciò non significa che tra i due vi sia una particolare somiglianza poetica. Anzi, come afferma subito nella sua prefazione (che riproduce quella originale del 1962), la poesia di Char «è la più lontana dall’“idea di poesia” che ciascun di noi (per tradizione, per educazione, per abitudine) possiede». Eppure, può parlare di una «simpatia irresistibile». Anche per questo il suo rapporto non comporta quell’insieme di proiezioni e di reazioni, d’immaginazione e di coscienza, messo in atto da Sereni. Così, anche al di là di certe consonanze biografiche (la partecipazione alla Resistenza, ad esempio), la curatrice può sottolineare come certi motivi e ossessioni del poeta d’Isle-sur-la-Sorgue, possano aver contribuito direttamente alla definizione di temi e figure analoghe nei versi di Caproni. Prima fra tutte quella della Bestia, che sarà la grande protagonista del Conte di Kevenhüller (1986) e che Char aveva già evocato come «Bestia innominabile» nel suo ciclo dedicato alle pitture rupestri delle grotte di Lascaux.
Ma che cos’è la Bestia? L’origine, la violenza della natura, la paura, il nemico, il mistero, la voce di ciò che non si può comunque possedere, la «vita inesprimibile» e, di conseguenza, anche la poesia? Probabilmente un po’ di tutto questo. Certo, appartiene alla poesia di Char — questa poesia che pure tocca attimi di pienezza e di redenzione terrestre che a pochi altri sono concessi — un sentimento estremamente tormentoso, contrastato, e dunque combattivo e agonistico dell’esistenza. L’affinità con Caproni, sta probabilmente da queste parti. In Char si trova infatti un dramma di gestazione, una specie di piccolo travaglio cosmogonico sotteso a ogni evento della vita che non si voglia di accidentale o irrisorio. «Poni accanto alla fatalità la resistenza alla fatalità», ad esempio; oppure: «Ciò che viene al mondo per nulla turbare non merita riguardi né pazienza».
Proprio per questo Caproni poteva vedere in Char un poeta «suscitatore di vita». Il suo desiderio era risalire il fiume della vita e della lingua fino al punto esatto dove cose e parole vengono alla luce e sono come per sempre, nell’attimo interminabile tra buio e buio. E infatti: «V’è un uomo adesso in piedi, un uomo in un campo di segala, un campo simile a un coro mitragliato, un campo salvato».