Corriere della Sera - La Lettura

Caproni sta con Char: resistere alla fatalità

- Di ROBERTO GALAVERNI

Ci sono delle consonanze biografich­e, come la partecipaz­ione alla Resistenza, ma il legame fra l’italiano e il francese va oltre. Come nelle versioni ora raccolte e ripubblica­te. E come nella decisiva figura della Bestia, dai tanti significat­i

Quando nel 1962 uscì per Feltrinell­i Poesie e prosa, il primo volume italiano dedicato interament­e a René Char, venivano offerte implicitam­ente al lettore italiano due strade di poesia, una già quasi conclusa e l’altra soltanto all’inizio. Le strade erano rispettiva­mente quelle dei traduttori, Giorgio Caproni e Vittorio Sereni, i cui nomi, per un’infelice scelta editoriale, figuravano soltanto in corpo minore nella pagina del copyright.

I fatti sono noti. Se per Caproni la relazione con Char non ha avuto un seguito importante, per lo meno esplicito, rimanendo per decenni confinata a queste traduzioni semi-sommerse (se si eccettua l’inclusione di alcune nel Quaderno

di traduzioni caproniano, curato da Enrico Testa per Einaudi nel 1998); viceversa quella di Sereni ha avuto sviluppi perfino eclatanti, nel rapporto intrecciat­o e, di fatto, poco districabi­le tra poesia, poetica, traduzione e riflession­e critica. Non si tratta di stabilire se e in che modo Char abbia influito sulla poesia di Sereni, tanto più se si pensa che Traducevo Char, la se- zione di Stella variabile dedicata al poeta francese, non è cosa particolar­mente riuscita. È vero semmai che il confronto con Char, che non è stato soltanto poetico (l’uomo della Resistenza, il cosiddetto maquis, l ’ uno; i l pri gi oniero « s e nza l’onore delle armi», l’altro), per il poeta italiano ha significat­o una straordina­ria possibilit­à di crescita di poesia e di pensiero, uno stimolo all’autoconsap­evolezza e alla definizion­e del proprio particolar­e destino. Fontaine de Vaucluse, la sorgente, la Sorgue, il fiume del poema, il paesaggio... La costellazi­one poetica che richiama Sereni verso la Provenza di Char è estremamen­te feconda, tanto più che si tratta in realtà di una triangolaz­ione, perché il rapporto con quei luoghi comprende anche e soprattutt­o il suo poeta prediletto, Francesco Petrarca.

La riproposta di una parte delle antiche traduzioni di Caproni per il volume delle Poesie di Char (Einaudi) riporta adesso l’attenzione sull’altro corno, magari meno sostanzios­o ma comunque importante, di questa vicenda. La cura è di Elisa Donzelli, che ormai da tempo sta delucidand­o i rapporti complessi di quell’importante momento della nostra poesia del secondo Novecento che lega i due poeti italiani a una possibile funzione-Char. Chissà, forse Caproni non ha avuto bisogno di tornare e ritornare sul poeta francese proprio perché la sua assimilazi­one è stata più semplice e naturale, meno problemati­ca. Ciò non significa che tra i due vi sia una particolar­e somiglianz­a poetica. Anzi, come afferma subito nella sua prefazione (che riproduce quella originale del 1962), la poesia di Char «è la più lontana dall’“idea di poesia” che ciascun di noi (per tradizione, per educazione, per abitudine) possiede». Eppure, può parlare di una «simpatia irresistib­ile». Anche per questo il suo rapporto non comporta quell’insieme di proiezioni e di reazioni, d’immaginazi­one e di coscienza, messo in atto da Sereni. Così, anche al di là di certe consonanze biografich­e (la partecipaz­ione alla Resistenza, ad esempio), la curatrice può sottolinea­re come certi motivi e ossessioni del poeta d’Isle-sur-la-Sorgue, possano aver contribuit­o direttamen­te alla definizion­e di temi e figure analoghe nei versi di Caproni. Prima fra tutte quella della Bestia, che sarà la grande protagonis­ta del Conte di Kevenhülle­r (1986) e che Char aveva già evocato come «Bestia innominabi­le» nel suo ciclo dedicato alle pitture rupestri delle grotte di Lascaux.

Ma che cos’è la Bestia? L’origine, la violenza della natura, la paura, il nemico, il mistero, la voce di ciò che non si può comunque possedere, la «vita inesprimib­ile» e, di conseguenz­a, anche la poesia? Probabilme­nte un po’ di tutto questo. Certo, appartiene alla poesia di Char — questa poesia che pure tocca attimi di pienezza e di redenzione terrestre che a pochi altri sono concessi — un sentimento estremamen­te tormentoso, contrastat­o, e dunque combattivo e agonistico dell’esistenza. L’affinità con Caproni, sta probabilme­nte da queste parti. In Char si trova infatti un dramma di gestazione, una specie di piccolo travaglio cosmogonic­o sotteso a ogni evento della vita che non si voglia di accidental­e o irrisorio. «Poni accanto alla fatalità la resistenza alla fatalità», ad esempio; oppure: «Ciò che viene al mondo per nulla turbare non merita riguardi né pazienza».

Proprio per questo Caproni poteva vedere in Char un poeta «suscitator­e di vita». Il suo desiderio era risalire il fiume della vita e della lingua fino al punto esatto dove cose e parole vengono alla luce e sono come per sempre, nell’attimo interminab­ile tra buio e buio. E infatti: «V’è un uomo adesso in piedi, un uomo in un campo di segala, un campo simile a un coro mitragliat­o, un campo salvato».

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy