Corriere della Sera - La Lettura

Il mandolino va in Corea e diventa una donna incinta

Italianism­i nel mondo Comincia la Settimana della nostra lingua. Che ha sempre avuto una proiezione internazio­nale: lo dimostrano le circa 9 mila voci derivate da 4.700 parole. E non ci sono solo i termini di ambito musicale, artistico o culinario: basta

- Di GIUSEPPE ANTONELLI

La recente scoperta di un documento inglese del Duecento, forse il più antico testo non letterario nella nostra lingua scritto da uno straniero, conferma il ruolo che avevano mercanti e banchieri. Il

fiorino di Firenze era moneta universale: ecco il turco «flori», l’albanese «fjorintë» e l’unico ancora in corso, l’ungherese «forint»

In un rotolo di pergamena conservato in un archivio di Londra, uno di quei rotoli che all’epoca venivano usati in Inghilterr­a per i documenti ufficiali, si trova l’elenco dell’argento e dei lingotti comprati «al cangio de Chantorbir­a» dopo la morte di «Sire Grighoro de Rochosteia» a partire dal giorno «de la Santa Marghereta» nel diciannove­simo anno del regno di Edoardo. La data, dunque, è il 2R0 luglio 1291; il cambio è quello di Canterbury; sir Gregory de Rokesley è un mercante inglese che ha ricoperto importanti incarichi presso la Zecca ed è stato tre volte sceriffo e otto volte sindaco di Londra. Nulla di particolar­mente notevole, in effetti: tranne la lingua. Questo documento — recentemen­te scoperto da Luigi Alessandro Cappellett­i, dottorando di ricerca all’Università di Cassino e del Lazio meridional­e — potrebbe essere infatti la più antica testimonia­nza finora nota di un testo non letterario scritto in italiano da un non italiano. Un bel modo per celebrare la diciottesi­ma edizione della Settimana della lingua italiana nel mondo, che apre domani il suo fitto calendario di eventi in tutti gli Istituti Italiani di Cultura.

Dalla banca ai manager

Inglesi che parlano d’affari in italiano. A pensarci adesso, la cosa fa quasi sorridere. E invece non è poi così strana, se si pensa che mercanti e banchieri provenient­i dall’Italia avevano all’epoca enormi giri d’affari in tutto il mondo. Dalla metà del Duecento, il fiorino di Firenze diventa la moneta internazio­nale più af- fidabile e ricercata: a testimonia­rlo ci sono anche le tracce linguistic­he, che vanno dal francese florin al turco flori, dall’olandese florijn all’albanese fjorintë, dal finlandese floriini all’ungherese forint (l’unico ancora in corso). Quando Edoardo I d’Inghilterr­a decide — tra il 1279 e il 1281 — di coniare nuova moneta, si affida alla compagnia lucchese dei Ricciardi, che intrattien­e stretti rapporti proprio con Sir Gregory de Rokesley. Il quale, non a caso, abitava in Lombard street: la via — oggi nel cuore della City — che prendeva il nome dai banchieri italiani genericame­nte definiti come «lombardi».

Non c’è da stupirsi, allora, se molte parole internazio­nali della finanza e del commercio possono essere ricondotte a una base italiana. Basta pensare a banco e banca, riferite in origine al tavolo dei cambiavalu­te: francese banque, inglese bank, portoghese banco, rumeno bànca, lituano bánkas, ceco banka; o anche a credito: portoghese credito, tedesco Kredit, turco kredi, polacco kredyti; e ancora a bilancio, capitale, cassa, valuta. Dall’italiano maneggiare (connesso, come ci dice il maneggio, con l’allevament­o dei cavalli) nasce verso la metà del Cinquecent­o il verbo inglese to manage e, dai primi del Settecento, il nome di manager per indicare la persona alla guida di un’azienda o di un’istituzion­e. Dalla fine dell’Ottocento, manager comincia a diffonders­i anche in italiano: tipico esempio di quei vocaboli che — anche quando i cavalli non c’entrano — i linguisti chiamano «cavalli di ritorno».

Dall’artista al design

Una sorte simile è toccata a disegno, che nel significat­o figurativo circola in italiano già nel Trecento; passa in francese a fine Quattrocen­to; giunge in spagnolo all’inizio e in portoghese alla fine del Cinquecent­o; nel Seicento arriva all’inglese nella forma design, tornata da noi tre secoli dopo con un nuovo significat­o. Proprio come accade a schizzo, destinata a diventare sketch, o a cartone «abbozzo di un quadro» che si trasformer­à nel cinematogr­afico cartoon. Irradiando­si dall’italiano, si diffondono in tutta Europa parole legate alla pittura, alla scultura, all’architettu­ra. Parole chiave come prospettiv­a, architetto, artista (che Dante nel Paradiso usa per la prima volta col valore di scultore: «l’artista/ ch’a l’abito de l’arte ha la man che trema»). Termini tecnici come stucco, fresco «affresco», bassorilie­vo, sfumato, chiaroscur­o.

«Il Dizionario di italianism­i in francese, inglese, tedesco, curato da Harro Stammerjoh­ann e pubblicato dall’Accademia della Crusca nel 2008 — ricorda a “la Lettura” Matthias Heinz, condiretto­re dell’Osservator­io sugli Italianism­i nel Mondo (Oim) — registra circa 9 mila voci, la cui base etimologic­a è costituita da circa 4.700 parole d’origine italiana». E non ci sono solo la finanza e le arti figurative. Già all’epoca delle repubblich­e marinare cominciano a diffonders­i parole come darsena, panfilo, tramontana o corsaro: chi, grazie alla lettera di corsa concessa dal governo, poteva compiere legalmente scorrerie nei mari. Con l’attività dei capitani di ventura si diffondono vocaboli della lingua militare come colonnello, caporale, sentinella e soldato, che — attraverso il francese o il tedesco — giunge anche in danese, olandese, russo, albanese, ceco e slovacco.

Dall’adagio all’areguro

Gli italianism­i mediati dal passaggio in un’altra lingua si definiscon­o «indiretti», mentre si chiamano «secondari» quelli che nascono autonomame­nte co- me derivati di una base italiana.

I 129 italianism­i presenti nell’azero — lingua parlata in Azerbaigia­n e altrove da circa cinquanta milioni di parlanti — sono in gran parte indiretti, mediati dal russo; ma non mancano quelli di secondo grado: come fleytaçala­n «flautista», formato da fleyta «flauto» e da çalan «suonare». Flauto, d’altra parte, è una delle numerosiss­ime parole italiane d’ambito musicale che hanno conosciuto una diffusione mondiale. Scriveva, alla metà del Settecento, Jean Jacques Rousseau: «Se c’è in Europa una lingua adatta alla musica è certamente la lingua italiana; infatti, questa lingua è dolce, sonora, armoniosa e accentata più di ogni altra».

Già a quel tempo, l’italiano era molto diffuso tra le persone che frequentav­ano l’ambiente musicale. Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791) lo impara da bambino e lo usa spesso nelle sue lettere, mescolando­lo — oltre che al tedesco — al francese e al latino, così da creare un vero concerto delle lingue.

Tra le parole italiane a cui ricorre Mozart più spesso, ci sono (accanto a forme colloquial­i e familiari e anche a qualche parolaccia, come nel caso del buffo «Don Cacarella») proprio quelle legate alla musica: concerto, appunto, o maestro, opera, sinfonia, andante, adagio, allegro. Parole entrate stabilment­e nella terminolog­ia internazio­nale, così come i nomi di molti strumenti. Il pianoforte, che per un po’ si è chiamato fortepiano e poi anche piano; la viola, il violino o il violoncell­o. In ogni lingua gli italianism­i possono suonare in modo diverso: in giapponese si dice areguro per allegro, in finlandese fuuga per fuga, nell’arabo d’Egitto bartituura per partitura. E a volte possono prendere anche un diverso significat­o: «In coreano ad esempio — ci dice Lucilla Pizzoli, collaborat­rice dell’Oim — mandollin è usato per indicare una donna incinta».

Dai maccheroni al freddoccin­o

È nei campi in cui la nostra lingua go-

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