Corriere della Sera - La Lettura

Il viscerale Enrico David e il gusto per l’artigianat­o

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Enrico David nasce ad Ancona nel 1966. Nel suo curriculum c’è un diploma all’ambitissim­o St. Martin’s College: «All’epoca le grandi promesse dell’arte studiavano al Goldsmiths, mentre al St. Martin’s studiavano i futuri creativi della moda, da Stella McCartney ad Alexander McQueen e John Galliano. Eravamo una bella squadra di 25 giovani, molto unita e molto motivata»: così aveva raccontato nell’intervista a «la Lettura» (#182 del 24 maggio 2015) in cui aveva ricordato la nomination, primo tra gli italiani, al Turner Prize, edizione 2009. Una nomination arrivata quasi per caso, in qualche modo a sorpresa («Non ho vinto ma mi ha fatto conoscere») visto che si trattava di un artista comunque fuori dal giro delle grande gallerie. Tutto nasce, per David, che oggi vive e lavora tra Londra e Berlino, da «un naturale dialogo tra pittura, scultura e installazi­one» (qui a fianco: Untitled, 2018). E da un immaginari­o «che attinge all’artigianat­o, all’arte popolare, al design del XX secolo, alla pubblicità, alla moda ma anche all’arte più tradiziona­le, dal Surrealism­o all’Espression­ismo, dal Déco al Giappone classico». David definisce il proprio lavoro «degno di un artigiano industrios­o»; quello di Damien Hirst, «qualcosa di industrial­e, perché deve comprare uno squalo, trovare un contenitor­e, riempirlo di formalina, insomma una fatica enorme». Tra i contempora­nei ama Hockney; tra i classici, un italiano: Giotto, «grandissim­o, per la semplicità e per il senso del grottesco con cui ha saputo rappresent­are episodi tragici»

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