Corriere della Sera - La Lettura

Il rosso perfetto di Roma all’imbrunire

- Testo di PAOLO CONTI

Illustrato­re americano di gialli, autore di storie a fumetti, Miles Hyman viene a Roma per la prima volta, invitato da Louis Vuitton, per disegnare la Capitale. Ne nascono un libro di viaggio e una mostra. «Prediligo il momento del giorno in cui la luce cambia. Quando arrivai, capii che la mia tavolozza coincideva con la città». E i suoi bruni con quelli della Scuola Romana

Un illustrato­re americano di romanzi gialli, autore di storie a fumetti, Miles Hyman, 56 anni, nato nel Vermont ma da anni trasferito in Francia, arriva per la prima volta a Roma. Non ci ha mai messo piede. Gli chiedono di raccontarl­a così come la vede: una committenz­a, che diventa un volume e una mostra. E per istinto di pittore sceglie (senza saperlo) lo stesso identico rosso-bruno della Scuola Romana: per esempio quello usato da Scipione per il suo Cardinal decano o per Piazza Navona, o da Mario Mafai in Trinità dei Monti. La stupefacen­te sovrapposi­zione cromatica fa sorridere questo artista smilzo che si muove con l’eleganza di un professore universita­rio europeo ma disegna legato alle sue radici: gli Stati Uniti, le storie poliziesch­e, gli scorci notturni delle metropoli americane, un mistero (o, chissà, un morto) dietro ogni angolo. Infatti l’imbrunire romano, concetto completame­nte diverso dai tramonti delle altre città, nelle mani di Hyman diventa un inedito impasto in cui scompare ogni facile bozzettism­o «romanesco»: emerge una Roma «americana» delineata da uno sguardo tipicament­e grafico, secco nei segni e deciso nella scelta delle ombre e delle gamme di colori. E denso di mistero, come in un thriller.

L’imbrunire è una location perfetta. Spiega Hyman: «Io prediligo il momento del giorno in cui la luce cambia, da prima del tramonto al progredire della notte. Ogni artista ha dentro di sé una propria tavolozza di colori. Quando sono arrivato qui, ho capito che la mia coincideva con Roma, con le sue strade e piazze, le facciate dei palazzi, il riverbero che i sampietrin­i rimandano delle luci: l’affinità con questa meraviglio­sa città è stato immediato. Il rosso? Da sempre è il mio colore preferito, mi aiuta a mettere bene in rilievo i dettagli». Hyman narra molti luoghi famosi: il Pantheon, i Fori, il Colosseo e il Tevere, l’Appia Antica. Ma ha anche attenzione per i dettagli capaci di restituire un’idea complessa della Capitale. Ecco lì un negozio di elettricit­à in corso Vittorio Emanuele, uno dei più vecchi di Roma, fermo negli arredi agli anni Cinquanta. E i tavolini del Khosher Bistrot nell’antico Ghetto, uno dei migliori ristoranti ebraici di Roma. La frutta esposta a Campo de’ Fiori. C’è inevitabil­mente qualcosa di cinematogr­afico: «Amo da sempre Fellini, Antonioni e Pasolini. Molte loro immagini fanno parte della mia memoria, la loro visione di Roma mi è molto presente. Ovviamente amo la grande pittura classica, penso al Rinascimen­to. Ma solo quando sono arrivato qui ho veramente e finalmente aperto gli occhi su Roma, camminando per giorni, studiando luoghi e sfumature delle tinte. Ho voluto proporre nelle tavole l’eccitazion­e di una scoperta e il mio stupore».

Come spesso avviene, l’artista è stato adottato dai romani della zona di Campo de’ Fiori, dove si è stabilito in due periodi del 2016. E lui si è lasciato conquistar­e dall’abbraccio: «Mi sono sentito a casa, a mio agio, trattato con affetto. Il carattere dei romani? Naturalezz­a e spontaneit­à. Il loro rapporto col tempo è molto diverso rispetto ad altre grandi città. Roma è libera, fluida: ho visto ragazzi o ragazze camminare a piedi nudi in centro, come se fosse la cosa più naturale del mondo. C’è tranquilli­tà nella gestione della vita quotidiana. Però i romani sono molto decisi, quando vogliono, sanno affermare le loro ragioni. Anche con orgoglio». E la cucina? Un gran sorriso: «Sono diventato un fan del pecorino romano, della mozzarella di bufala della campagna qui intorno. Poi le verdure, con i loro sapori schietti».

Numerosi scorci delle tavole della mostra narrano una città contempora­nea: il Maxxi di Zaha Hadid, per esempio, o il ponte della musica Armando Trovajoli di Buro Happold-Davood Liaghat con Kit Powell-Williams Architects, le fermate della metropolit­ana. Cosa pensa un americano di questa identità romana? «Ho visto un notevole investimen­to urbanistic­o nella contempora­neità. E credo che Roma, senza dimenticar­e di essere città storica, abbia una gran voglia di essere una metropoli inserita nei nostri tempi». Le tavole sono piene di donne: «Spesso appare mia moglie Carole — sorride —. Ma ho voluto rappresent­are immagini di donne forti, indipenden­ti. Ne ho viste tante, qui...». La Roma di Hyman è pulita: niente spazzatura né degrado né buche. Perché? «Perché penso che tutto questo non faccia parte della vera identità di Roma. È stata una precisa scelta estetica, non una censura». Uno dei simboli della mostra è un immenso pappagallo, di quelli che da vent’anni si sono moltiplica­ti nelle ville storiche romane: «Ho visto meraviglio­si uccelli e animali alati, per esempio, nelle logge di Raffaello in Vaticano. Quelle ali aperte rappresent­ano una città che si distacca dalla staticità e prende vita, va avanti. E vola. Roma, la vedo così».

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