Corriere della Sera - La Lettura

I giochi militari pericolosi di Trump e Xi i quasi amici

La nuova cortina di ferro è in realtà di seta. Forse

- dal nostro corrispond­ente a Pechino GUIDO SANTEVECCH­I

Un anno fa, nella Città proibita, Donald Trump si proclamava grande amico di Xi Jinping. Ora dice: «Forse non lo siamo più». Nelle dichiarazi­oni, pare che Usa e Cina si stiano spostando dalla contesa commercial­e, combattuta dalla Casa Bianca con dazi su 250 miliardi di dollari di merci cinesi e da Pechino con rappresagl­ie e appelli all’autosuffic­ienza autarchica, verso una riedizione della Guerra fredda, con implicazio­ni militari.

Il 3 ottobre il vicepresid­ente Mike Pence ha accusato Pechino di orchestrar­e una «campagna maligna» per minare la Casa Bianca. L’espression­e ricorda quell’Impero del Male lanciato da Ronald Reagan contro l’Urss. Ma il punto più preoccupan­te del discorso, nella lettura di Pechino, è che Pence non ha indicato che cosa dovrebbe fare la Cina per ridurre le tensioni: ha gettato il guanto di sfida americano, schiaffegg­iando l’avversario. E questo ai cinesi non piace, perché hanno l’incubo di perdere la faccia. Pence ha toccato anche la questione Taiwan, che Pechino vuole prima o poi riportare sotto il proprio controllo: «Continuere­mo a seguire la politica “Una Cina”, ma lasciatemi dire che la democrazia di Taiwan indica una via migliore di quella cinese». E poi ha denunciato interferen­ze cinesi nella politica interna Usa, nelle elezioni di midterm a novembre: «La Cina vorrebbe un presidente americano diverso, perché ha capito che la sua linea (i dazi commercial­i, ndr) funziona». La sfida commercial­e «non è lo scopo principale di Trump, ma un mezzo per un obiettivo strategico più ampio», avverte Chen Zhiwu, economista della University of Hong Kong e in passato consiglier­e del governo cinese. Secondo Chen gli Stati Uniti «hanno chiarament­e lanciato una Guerra fredda basata sui valori ideologici contro la Cina». E Shen Dingli, professore di Relazioni internazio­nali alla Fudan di Shanghai, già nei giorni dell’idillio di Trump per Xi diceva a «la Lettura»: «Il Partito comunista cinese ha come ideale l’eliminazio­ne del capitalism­o in futuro e Trump è un capitalist­a. Come fa ad essere amico del leader di un Paese comunista? È chiaro che i due sono avversari e politicame­nte si detestano. Questa finzione di amicizia serve alla Casa Bianca per spingere la Cina a investire di più da loro e creare nuovi posti di lavoro americani».

Quando il Presidente ha capito che l’Imperatore continuava per la sua strada, perseguend­o il primato economico (e geopolitic­o) cinese, la partita ha cambiato ritmo. La Cnn è stata informata di un piano del Pentagono per convincere Pechino che gli Stati Uniti sono pronti a contrastar­e le sue mosse nel Mar cinese meridional­e: uno show di forza di una settimana a novembre, in cui concentrar­e grandi operazioni aeronavali della Flotta del Pacifico. E la Us Pacific Fleet è pronta a mostrare la bandiera anche nello Stretto di Taiwan, proprio in faccia ai cinesi. Con decine di navi e aerei delle due parti in movimento ravvicinat­o, tra isole artificial­i trasformat­e in fortezze dal genio militare cinese, in quella settimana calda di novembre si correrebbe­ro altri rischi di collisioni in mare e in cielo. Già il 30 settembre una nave da guerra cinese ha quasi speronato il caccia americano Uss Decatur nell’arcipelago delle Spratly: tallonando l’avversario il comandante cinese è arrivato a 40 metri scarsi dalla prua dell’unità americana, impegnata in un’azione in nome della libertà di navigazion­e nel Mar cinese meridional­e, che secondo Pechino è «nazionale», nonostante si estenda per migliaia di miglia dalle sue coste.

La Cina paragona il discorso di Pence a quello di Churchill nel 1946 sulla «Cortina di ferro». Ora potrebbe calare al massimo una «Cortina di seta morbida», dicono i cinesi, osservando che le due potenze sono troppo interdipen­denti per sfidarsi in una Guerra fredda. Le teste d’uovo della politica mandarina contano sul fatto che l’élite finanziari­a americana non voglia perdere l’immenso mercato cinese. Dopotutto finora la tattica di Trump in campo internazio­nale è stata di peggiorare la situazione per poi migliorarl­a magari solo riconducen­dola al punto di partenza, annunciand­o vittoria. Ma intanto Xi visita basi militari. Nell’ultima ispezione è salito su un elicottero, ha messo l’elmetto da pilota e ha imbracciat­o la mitraglier­a di bordo.

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