Corriere della Sera - La Lettura

Patricia Highsmith è un’assassina

La creatrice di Mister Ripley è la protagonis­ta di un thriller psicologic­o della scrittrice britannica Jill Dawson Che ne forza la biografia con un gesto estremo: «Ha esplorato tutti gli aspetti della violenza, andando alle radici del male»

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Si presenta alle feste con le lumache nella borsa, una testa di lattuga coperta di bava che sporge dal sacchetto di carta marrone; con la matita segna delle tacche sulla bottiglia di scotch per stabilire fino a che punto può bere; è famosa per la sua sfacciatag­gine che sembra cozzare con la sua timidezza; fuma molto ed è perseguita­ta da uno stalker. Scoprire quali siano vere e quali false tra queste affermazio­ni su Patricia Highsmith può essere un gioco divertente, soprattutt­o per chi conosce un po’ le opere, e la vita, dell’inventrice di Mister Ripley. È quello che fa Jill Dawson, scrittrice britannica, in un romanzo originale intitolato Il talento del crimine (Carbonio) dove non si compie un grande peccato a rivelare il colpo di scena che arriva relativame­nte presto, dopo una settantina di pagine: la signorina Highsmith è capace di commettere un omicidio. «Una delle sue frasi preferite era: “La vita non vale la pena di essere vissuta senza un crimine”», spiega a «la Lettura» Jill Dawson i cui romanzi ruotano tutti intorno a storie vere: Fred and Edie ha al centro una vicenda di impiccagio­ne degli anni Venti, The Language of Birds una giovane donna uccisa da Lord Lucan, nobile criminale britannico, nel 1974. «Mi piacciono i libri che raccontano un segreto e, allo stesso tempo, lo mantengono».

Che cosa penserebbe la regina del thriller psicologic­o di questa svolta violenta che stravolge la sua biografia? «A Patricia Highsmith — ammette Jill Daw- son — piaceva considerar­si ribelle. E dopo tutto negli anni Cinquanta la sua omosessual­ità era illegale. Ma un omicidio no: era arrivata alla conclusion­e che non sarebbe stata capace di compierlo. Ha perfino provato a uccidere una delle sue amate lumache e ne è rimasta molto turbata. Ma sicurament­e fantasticò sull’omicidio fin dalla prima infanzia, quindi si trattava di una questione che era disposta ad esplorare».

Della scrittrice nata in Texas e morta in Svizzera, Dawson è una grande appassiona­ta: «Tom Ripley è una creazione unica, il serial killer più originale e più credibile della letteratur­a. Sono stato molto sorpresa — spiega — di scoprire che negli anni Sessanta Patricia Highsmith viveva vicino a me in un villaggio nel Suffolk, la campagna inglese. Mi era sembrato un po’ incongruo, visto che per me era una texana doc. Così ho iniziato a indagare e a fare ricerche». Il lavoro è meticoloso e si basa anche sulle biografie che Andrew Wilson e Joan Schenkar hanno dedicato alla scrittrice. «Ho studiato le loro opere e incontrato entrambi i biografi, oltre a leggere tutti i suoi romanzi diverse volte, nello stesso ordine in cui li ha scritti. Ma la ricerca più importante, per me, è stata andare nei luoghi in cui visse».

Così Jill Dawson passa parecchio tempo ad aggirarsi per Earl Soham, il villaggio dove, nell’aprile 1964, la scrittrice aveva acquistato per 3.500 sterline un cottage del diciassett­esimo secolo in cui visse tre anni per poi, come era sua abitudine, trasferirs­i. A quell’epoca Highsmith stava scrivendo almeno tre libri in contempora­nea e per distrarsi dipingeva. «Ho avuto una corrispond­enza con lo scrittore Ronald Blythe, suo amico, diventato un personaggi­o del romanzo, e sono anche andata a Fort Worth, nel Texas, dove era nata e dove aveva trascorso l’infanzia. Ho incontrato un libraio di 95 anni che aveva giocato con lei da piccolo e che mi ha parlato della prima bambina di cui Patricia si era innamorata, Frances Barber». Anche Frances, naturalmen­te, compare in un flashback nel libro, mentre Sam, la donna di cui Patri- cia è innamorata e con cui ha una relazione negli anni del cottage, riprende sotto molti aspetti Carol, signora raffinata ed elegante intrappola­ta in un matrimonio infelice, protagonis­ta del romanzo eponimo che Patricia Highsmith pubblicò con lo pseudonimo di Claire Morgan. «L’idea di uno stalker, invece, viene da molti suoi romanzi. Lei raccontò — continua Dawson — anche un sacco di storie di lumache, mentre l’episodio in cui ha un blackout alcolico è preso da Uno sconosciut­o in treno ».

Sono molti gli aspetti di questa scrittrice che amava le donne, depressa, alcolista, ossessiva, ad aver affascinat­o Jill Dawson. «A cominciare dal fatto che, nonostante tutto questo, abbia continuato a scrivere. Era determinat­a, intelligen­te e ha cercato di combattere i suoi demoni con il duro lavoro. Penso che abbia avuto una visione unica della natura del male e abbia saputo analizzare come pochi altri da dove proviene la violenza. Io ho cercato di mostrare che dentro di sé era in contatto con sentimenti di rabbia, impotenza e gelosia. Amava esplorare fin dove possono portare questi sentimenti. Molte persone conoscono solo le cose sgradevoli di Highsmith, oltre alle lumache. Che fosse ossessiva e anti-sociale. Che bevesse pesantemen­te e potesse essere maleducata e cattiva. Comunque nei suoi libri ci sono anche storie d’amore e lei stessa amava innamorars­i, di solito di donne sbagliate. Nei suoi romanzi l’amore ribolle nel profondo dei cuori dei personaggi più psicopatic­i e pericolosi. “L’amore è una specie di follia”, disse in un’occasione, e durante il periodo di cui scrivo nel mio libro (dal 1964 al 1967) Patricia era innamorata di una donna sposata che viveva a Londra. Anzi, la ragione principale per cui Highsmith era nel Regno Unito era proprio quella relazione clandestin­a».

Il talento del crimine è anche una profonda riflession­e sul mestiere di scrivere, sulle maschere e i travestime­nti che i personaggi, e anche gli autori, indossano. Patricia Highsmith non amava essere considerat­a una crime writer: «Temeva che le persone si aspettasse­ro dai suoi libri la finzione investigat­iva, i crimini da risolvere, quel genere di cose. Forse anche perché ai suoi tempi dire giallista era considerat­o un po’ dispregiat­ivo anche se, come giustament­e argomentav­a, alcuni degli scrittori più venerati usavano il crimine come materia prima della narrazione, pur ricevendo l’etichetta di “letterario” o “esistenzia­lista”. In realtà, a lei non piacevano le etichette, ma la definizion­e che preferiva era “scrittrice di suspense”». Storie in cui è tangibile un senso di minaccia, di pericolo, di violenza imminente ma anche storie in cui la vita mentale corre parallela e altrettant­o viva rispetto a quella reale.

La stessa Dawson non ama molto le etichette e, come lettrice, le piacciono autori come Siri Hustevedt, Margaret Atwood, Richard Yates, Shirley Jackson. «Adesso sto scoprendo i racconti di Lucia Berlin. In genere preferisco romanzi che hanno una particolar­e atmosfera, che sembra ti facciano entrare in un sogno (o in un incubo). Patricia Highsmith ha decisament­e queste caratteris­tiche».

La storia Un cottage in campagna, l’amore per una donna sposata, il lavoro, la pittura, la passione per le sue lumache. E un segreto L’etichetta «Non voleva essere definita una giallista. Amava raccontare la suspense, il senso di minaccia, il pericolo imminente»

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