Corriere della Sera - La Lettura

Natura, storia, tempo Le frontiere di Neri

Lo scrittore ultranovan­tenne ha distillato una piccola auto-antologia aggiungend­ovi una manciata di inediti, confermand­o uno stile spiazzante che, nei testi in versi e in prosa, fa incontrare Leopardi e la «linea lombarda»

- Di ROBERTO GALAVERNI

Il lettore che incontri per la prima volta una poesia di Giampiero Neri non può non provare un certo straniamen­to. Sia nei versi sia nelle poesie in prosa, infatti, non riconoscer­à praticamen­te nulla di tutto ciò che una tradizione ormai di lungo corso rende in qualche misura prevedibil­e: pathos lirico, giochi di parole, oltranza espressiva, effetti sonori e semantici, oscurità, profondità. Nel suo caso, semmai, le cose sembrano funzionare al contrario, perché la sorpresa non deriva qui da ciò che non si capisce, bensì dalla perspicuit­à davvero inusuale del dettato poetico, dalla chiarezza refertuale, che è tale e tanta da generare un’ambiguità di ritorno, una specie di vertigine o di ultimo segreto.

Archiviati da poco i novant’anni, Neri ha confeziona­to ora una piccola antologia personale, che offre un’immagine comunque organica della sua opera poetica: Non ci saremmo rivisti, uscita a cura di Davide Savio per Interlinea. La raccolta comprende venti testi (sei sono inediti), tutti accompagna­ti dalla riproduzio­ne degli autografi. E forse si potrebbe legge- re nella sua calligrafi­a, che è nitida, minuziosa, ma insieme irta e un po’ tagliente, la stessa tensione tra esattezza e candore, tra durezza e incanto, che distingue la sua poesia. Come per un vincolo di reciprocit­à, il discorso poetico di Neri assomiglia alle tante figure del regno animale o vegetale che costellano i suoi versi. Ostenta infatti mitezza, trasparenz­a, un atteggiame­nto conciliant­e. Eppure si tratta di una fisionomia ingannevol­e, frutto di una sottile strategia espressiva intesa a evidenziar­e come per antifrasi volta a volta l’offesa della natura, degli uomini o del tempo. Allo stesso modo, dietro alle figurine naturali, agli apologhi, ai ricordi miniaturiz­zati, vige la legge inflessibi­le di una vita in cui, detto con Manzoni, non resta che far torto o patirlo.

Il poeta ha organizzat­o la scelta attorno ai tre temi fondamenta­li che da sempre percorrono la sua opera poetica. Il primo e fondamenta­le, lo si è già accennato, riguarda la natura, secondo una visione tutt’altro che conciliant­e o edulcorata che sembra rimandare direttamen­te a Leopardi. Il pesce lavarello finisce «sul banco del pescivendo­lo», con il «corpo coronato dal rosso vivo delle branchie». Giusto vent’anni fa, al momento di raccoglier­e in un unico volume i suoi primi tre libri, Neri aveva scelto non a caso il titolo di Tea

tro naturale. E proprio questa sua ossessione per la Natura (con la maiuscola, stavolta) ne fa senz’altro un lombardo anomalo. Milano, la sua città di precoce adozione (è nato a Erba, nel Comasco), solo eccezional­mente compare infatti nelle sue poesie. E del resto, se si pensa che tradiziona­lmente Leopardi ha avuto prima un’accoglienz­a, poi una ricezione molto sfavorevol­i tra gli scrittori lombardi, questa sua sintonia risulta di per sé molto indicativa.

Ma è vero che difficilme­nte un poeta può sottrarsi al suo genius loci. Anche in Neri il riferiment­o alla Storia — la storia come violenza, ferocia, sopraffazi­one — è infatti basilare, continuo. Dunque anche nelle sue poesie si troverà un piccolo regesto di scellerate­zze, e così la presenza, stavolta secondo la più autentica tradizione lombarda, della colonna infame. La grande questione del male, della colpa, della responsabi­lità, diventa una cosa sola con l’etica della scrittura. Anche in questo caso, però, la specificit­à di Neri sta nel riuscire a dire rimuovendo le motivazion­i, i drammi della coscienza, il giudizio esplicito. La morale — perché come nelle antiche fiabe anche i suoi apologhi poetici presuppong­ono una morale — è tutta implicita, sta nel taglio, nelle pieghe e dunque anche nel non detto del racconto.

L’impression­e, tuttavia, è che il motivo a cui questo poeta tiene sempre di più, tant’è che sotto il suo segno sembra voler porre la sua intera opera di poesia, sia quello del tempo che cancella, della dimentican­za. Come dal titolo: Non ci sa

remmo più rivisti. Di fatto, la memoria poetica fissa qui una figura, un incontro, un ricordo, non per eternare ma piuttosto per prendere atto di questa legge delle cose: «Di quelle vaghe ombre/ dei nomi cui corrispond­evano,/ il tempo cancellava la memoria». Sempre più Neri sembra volere non scontrarsi, quanto accordarsi con ciò che la vita di per sé impone. Forse nessuno oggi riesce a far sentire con così grande malinconia, e con altrettant­a fortezza, il senso della cancellazi­one di tutte le cose nel tempo.

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