Corriere della Sera - La Lettura
Natura, storia, tempo Le frontiere di Neri
Lo scrittore ultranovantenne ha distillato una piccola auto-antologia aggiungendovi una manciata di inediti, confermando uno stile spiazzante che, nei testi in versi e in prosa, fa incontrare Leopardi e la «linea lombarda»
Il lettore che incontri per la prima volta una poesia di Giampiero Neri non può non provare un certo straniamento. Sia nei versi sia nelle poesie in prosa, infatti, non riconoscerà praticamente nulla di tutto ciò che una tradizione ormai di lungo corso rende in qualche misura prevedibile: pathos lirico, giochi di parole, oltranza espressiva, effetti sonori e semantici, oscurità, profondità. Nel suo caso, semmai, le cose sembrano funzionare al contrario, perché la sorpresa non deriva qui da ciò che non si capisce, bensì dalla perspicuità davvero inusuale del dettato poetico, dalla chiarezza refertuale, che è tale e tanta da generare un’ambiguità di ritorno, una specie di vertigine o di ultimo segreto.
Archiviati da poco i novant’anni, Neri ha confezionato ora una piccola antologia personale, che offre un’immagine comunque organica della sua opera poetica: Non ci saremmo rivisti, uscita a cura di Davide Savio per Interlinea. La raccolta comprende venti testi (sei sono inediti), tutti accompagnati dalla riproduzione degli autografi. E forse si potrebbe legge- re nella sua calligrafia, che è nitida, minuziosa, ma insieme irta e un po’ tagliente, la stessa tensione tra esattezza e candore, tra durezza e incanto, che distingue la sua poesia. Come per un vincolo di reciprocità, il discorso poetico di Neri assomiglia alle tante figure del regno animale o vegetale che costellano i suoi versi. Ostenta infatti mitezza, trasparenza, un atteggiamento conciliante. Eppure si tratta di una fisionomia ingannevole, frutto di una sottile strategia espressiva intesa a evidenziare come per antifrasi volta a volta l’offesa della natura, degli uomini o del tempo. Allo stesso modo, dietro alle figurine naturali, agli apologhi, ai ricordi miniaturizzati, vige la legge inflessibile di una vita in cui, detto con Manzoni, non resta che far torto o patirlo.
Il poeta ha organizzato la scelta attorno ai tre temi fondamentali che da sempre percorrono la sua opera poetica. Il primo e fondamentale, lo si è già accennato, riguarda la natura, secondo una visione tutt’altro che conciliante o edulcorata che sembra rimandare direttamente a Leopardi. Il pesce lavarello finisce «sul banco del pescivendolo», con il «corpo coronato dal rosso vivo delle branchie». Giusto vent’anni fa, al momento di raccogliere in un unico volume i suoi primi tre libri, Neri aveva scelto non a caso il titolo di Tea
tro naturale. E proprio questa sua ossessione per la Natura (con la maiuscola, stavolta) ne fa senz’altro un lombardo anomalo. Milano, la sua città di precoce adozione (è nato a Erba, nel Comasco), solo eccezionalmente compare infatti nelle sue poesie. E del resto, se si pensa che tradizionalmente Leopardi ha avuto prima un’accoglienza, poi una ricezione molto sfavorevoli tra gli scrittori lombardi, questa sua sintonia risulta di per sé molto indicativa.
Ma è vero che difficilmente un poeta può sottrarsi al suo genius loci. Anche in Neri il riferimento alla Storia — la storia come violenza, ferocia, sopraffazione — è infatti basilare, continuo. Dunque anche nelle sue poesie si troverà un piccolo regesto di scelleratezze, e così la presenza, stavolta secondo la più autentica tradizione lombarda, della colonna infame. La grande questione del male, della colpa, della responsabilità, diventa una cosa sola con l’etica della scrittura. Anche in questo caso, però, la specificità di Neri sta nel riuscire a dire rimuovendo le motivazioni, i drammi della coscienza, il giudizio esplicito. La morale — perché come nelle antiche fiabe anche i suoi apologhi poetici presuppongono una morale — è tutta implicita, sta nel taglio, nelle pieghe e dunque anche nel non detto del racconto.
L’impressione, tuttavia, è che il motivo a cui questo poeta tiene sempre di più, tant’è che sotto il suo segno sembra voler porre la sua intera opera di poesia, sia quello del tempo che cancella, della dimenticanza. Come dal titolo: Non ci sa
remmo più rivisti. Di fatto, la memoria poetica fissa qui una figura, un incontro, un ricordo, non per eternare ma piuttosto per prendere atto di questa legge delle cose: «Di quelle vaghe ombre/ dei nomi cui corrispondevano,/ il tempo cancellava la memoria». Sempre più Neri sembra volere non scontrarsi, quanto accordarsi con ciò che la vita di per sé impone. Forse nessuno oggi riesce a far sentire con così grande malinconia, e con altrettanta fortezza, il senso della cancellazione di tutte le cose nel tempo.