Corriere della Sera - La Lettura
Insegue l’assassino del cane, scopre il mistero della sua vita
Simon Stephens, apprezzato e molto premiato drammaturgo inglese, ha lavorato sul bestseller di Mark Haddon: lo abbiamo incontrato. Lo spettacolo va ora in scena all’Elfo di Milano con la regia di Elio De Capitani e Ferdinando Bruni «Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte» è stato un clamoroso successo letterario, confermato in maniera altrettanto clamorosa sul palcoscenico: sette «Oscar» del teatro inglese, cinque Tony Awards in America, 800 repliche, di nuovo in cartellone a Londra dal prossimo 29 novembre
«Mi chiamo Christopher John Francis Boone. Conosco a memoria i nomi di tutte le nazioni del mondo e delle loro capitali, e ogni numero primo fino a 7.507». Così si presenta ai lettori il giovanissimo protagonista di Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte, il bestseller di Mark Haddon uscito nel 2003.
Christopher, 15 anni, scopre che Wellington, il cane della signora Shears, la sua vicina di casa, è stato trafitto con un forcone, sette minuti dopo la mezzanotte. Il ragazzino è sospettato di essere l’autore del delitto. Perciò decide di scrivere un libro mettendo insieme gli indizi del caso, per risolvere il mistero di chi ha ucciso Wellington. Christopher è dotato di straordinarie capacità logico-matematiche, ma soffre di una forma di autismo che rende molto problematico il suo rapporto con il mondo: non si è mai avventurato oltre il confine della strada di casa, detesta essere toccato e diffida degli estranei. Il suo lavoro di detective, che il padre gli ha proibito, lo porterà ad affrontare un viaggio terrificante che capovolgerà il suo mondo... il padre non è chi credeva che fosse... e neppure la madre è dove credeva che fosse...
La forza della storia raccontata da Haddon non si è esaurita nelle pagine del libro, ma è si propagata in palcoscenico con la brillante riscrittura di Simon Stephens, drammaturgo britannico tra i più apprezzati (e rappresentati: 32 opere teatrali dalla fine degli anni Novanta, e sei adattamenti di classici tra cui Il giardino dei ciliegi, Casa di bambola, Io sono il vento), collaboratore di registi come Katie Mitchell, Ivo van Hove, Thomas Ostermeier. Prodotto dal National Theatre di Londra, Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte è stato uno dei più clamorosi successi teatrali degli ultimi anni, premiato nel 2013 con sette Olivier Awards (incluso miglior spettacolo), gli Oscar del teatro inglese. Trasferitasi a Broadway nell’ottobre 2014, la produzione si è aggiudicata cinque Tony Awards su sei nomination, e ha chiuso il sipario il 4 settembre 2016, dopo 800 performance.
La drammaturgia di Simon Stephens ha convinto anche i registi dell’Elfo di Milano, Elio De Capitani e Ferdinando Bruni, a portare sui palcoscenici italiani il testo. Lo spettacolo debutterà in prima nazionale dal 5 dicembre al 13 gennaio, e dal 15 al 27 gennaio alle Fonderie Limone di Moncalieri (Torino). In scena, una compagnia di dieci attori: il giovanissimo Daniele Fedeli nel ruolo del protagonista, Davide Lorino e Alice Redini nei ruoli dei suoi genitori ed Elena Russo Arman in quello dell’insegnante che lo convince a raccontare la sua storia; a spartirsi gli altri ruoli Corinna Agustoni, Cristina Crippa, Marco Bonadei, Alessandro Mor, Nicola Stravalaci, Debora Zuin.
Per drammatizzare il romanzo, spiega Stephens a «la Lettura», «ho fatto due co- se: la prima è stata estrarre dal libro un elenco di tutto ciò che fa Christopher, cercando di distinguere le azioni dal pensiero o dall’osservazione. L’osservazione al drammaturgo non interessa, perché non è attiva: per me erano importanti gli eventi. La seconda cosa è stata trascrivere il discorso diretto utilizzato da Mark». Ride mentre ricorda: «Al National, durante una replica dello spettacolo, con un amico e con il più piccolo dei miei figli, che al tempo aveva dodici anni, ho commentato: “Il 75 per cento del testo dello spettacolo è di Mark, io credo di averne scritto solo il 25 per cento”. E lui: “Sì, hai scritto solo le parolacce!”».
Poi torna alla spiegazione: «Lo “scheletro” dello script basato sul discorso diretto non era però abbastanza. Dovevo rendere attivo tutto quel mondo interio- re. La chiave, ho capito, sarebbe stata il libro immaginario scritto da Christopher durante le sue indagini: il dramma poteva essere rivelato nel processo di scrittura e lettura del libro». Che, nel romanzo di Haddon, viene letto da tre persone: «La prima è proprio Christopher, ma lui non rivelerebbe mai al pubblico i suoi pensieri più intimi. La seconda è il padre, che ha vietato al figlio di svolgere le sue indagini; la terza è l’insegnante di Christopher, Siobhan: è lei la figura su cui ho costruito il dramma, perché l’insegnamento è la mia area di interesse (prima di dedicarsi alla drammaturgia, Stephens ha lavorato come professore, ndr). È lei che spinge Christopher a scrivere il libro, lei che lo spinge a cercare ciò che lui vuole, senza paura, con tenacia e con coraggio. È questo, del dramma, che ci commuove».
C’è un momento, prosegue, «in cui Christopher dice “Sono stato coraggioso”: ecco, quello è il momento in cui il pubblico si riconosce, in cui ci riconosciamo in Christopher, come ci riconosciamo in Amleto, anche se il nostro patrigno non era il fratello di nostro padre, lo zio che lo ha assassinato, o ci riconosciamo nel Giardino dei ciliegi, anche se non abbiamo mai posseduto un frutteto. Ciò che riconosciamo è il desiderio di fronte alla mortalità. Perché ogni opera, nel contenuto e nella forma, ha a che fare con le relazioni umane. E la drammaturgia teatrale ne cristallizza e restituisce l’idea più di qualsiasi altra forma di scrittura. Lo spazio drammatico è uno spazio aperto all’interpretazione attraverso cui gli esseri umani — il pubblico — possono capire qual è la loro rappresentazione nel mondo e il rapporto tra di loro. E questo, per la cultura, ha un immenso valore artistico, politico e umano».