Corriere della Sera - La Lettura

Greta, ascoltami Ho un piano. Anzi tre

- di ANTONIO MASSARUTTO

Conversazi­oni Prem Shankar Jha è certo che possiamo liberarci dalla schiavitù dei combustibi­li fossili. E lancia la sua strategia: «Puntiamo sul solare termodinam­ico, che consente di concentrar­e i raggi e accumulare calore; sulla gassificaz­ione che converte le biomasse in gas elementari e questi in carburanti; e su processi fotochimic­i per trasformar­e l’anidride carbonica atmosferic­a in sostanze innocue con l’idrogeno come sottoprodo­tto». L’ostacolo? «Il mercato»

Il titolo del suo libro L’alba dell’era solare (Neri Pozza) chiarisce subito che Prem Shankar Jha, studioso indiano, crede che si possa emancipare presto il pianeta dai combustibi­li fossili e porre un riparo al riscaldame­nto globale. Ne abbiamo discusso con lui.

Secondo la sua tesi, esistono tecnologie in grado di azzerare le emissioni di gas serra, perfino di ridurne la concentraz­ione in atmosfera, stabilizza­ndo il clima. Quali sono?

«Essenzialm­ente tre. Il solare termodinam­ico: concentran­do i raggi solari in punti ristretti attraverso lenti e specchi, utilizzand­o opportuni fluidi di accumulo del calore, è possibile produrre l’elettricit­à che ci serve. Con la gassificaz­ione, ogni biomassa — penso agli enormi residui delle coltivazio­ni agricole e forestali, ma anche ai rifiuti urbani e industrial­i — può essere convertita in un gas elementare, e questo in carburanti, come il metanolo, utilizzabi­li anche dai motori esistenti. Con semplici processi fotochimic­i, si può trasformar­e la CO2 atmosferic­a, causa dell’effetto serra, in sostanze innocue, con l’idrogeno come sottoprodo­tto. Sono note alla comunità scientific­a, già utilizzabi­li su scala industrial­e. Non inquinano. Non usano materie prime esauribili ma sostanze reperibili ovunque».

Quindi la soluzione ai problemi climatici è a portata di mano. Greta potrebbe tornare a scuola tranquilla. Possibile che nessuno se ne sia accorto?

«Il mondo è prigionier­o della leggenda dell’impossibil­ità di fare a meno dei combustibi­li fossili, propagata dai Paesi occidental­i, che un secolo fa si sono incamminat­i lungo quella strada e dovrebbero sostenere costi di riconversi­one gigantesch­i. Per mantenere l’egemonia, la lobby industrial­e ha indotto i governi a imboccare false piste senza uscita, dal fotovoltai­co all’eolico, dall’auto elettrica all’idrogeno: tecnologie che promettono risultati solo parziali e in tempi lunghi, entro i quali il mondo continuere­bbe a essere schiavo delle fonti fossili».

Sta forse sostenendo che c’è un complotto mondiale?

«Non sono così ingenuo. Ma partiamo dal dato di fatto: le tecnologie che al momento mostrano il miglior potenziale per liberarci dai combustibi­li fossili sono le più trascurate. Non accuso persone e organizzaz­ioni specifiche. Piuttosto evidenzio come ci sia qualcosa di distorto nel funzioname­nto dei mercati: qualcosa che mi fa dubitare della loro efficienza e capacità di selezionar­e le tecniche migliori, e che chiama in causa una forte azione di indirizzo da parte dei governi. Il mercato funziona quando dà alle cose il prezzo giusto: ma non sempre ci riesce, non subito. È tanto miope da non saper guardare oltre un decennio o due, prendendo cantonate astronomic­he quando deve andare più in là. Ciò alimenta un meccanismo di prove ed errori, di bolle speculativ­e che si gonfiano e poi scoppiano. E soprattutt­o: il mercato non è libero,

lo dominano le strategie dei grandi oligopolis­ti, in grado di pilotare gli investimen­ti, influenzar­e le percezioni degli operatori e le politiche pubbliche».

Non sarà invece un problema di costi? Stando ai dati delle principali agenzie mondiali siamo fuori mercato, ai prezzi attuali. In particolar­e il ciclo del metanolo non sembra competitiv­o.

«Io sostengo, appunto, che è il sistema dei prezzi attuali a dare indicazion­i fuorvianti. Bisognereb­be che i prezzi riflettess­ero il costo ambientale, del clima, ma anche quello della crescente scarsità delle fonti fossili e delle guerre che prima o poi dovremo mettere in preventivo per accaparrar­cele. Il metanolo già converrebb­e se, dato l’impatto ambientale positivo, venisse detassato. Quanto al solare, gli impianti spagnoli, operativi da oltre un decennio, hanno già costi inferiori a quelli della produzione di picco. Ma quelli più all’avanguardi­a possono arrivare anche a 5 cent/kWh, meno della fonte oggi più a buon mercato, il carbone. Occorre anche notare che, come tutte le tecnologie, hanno un potenziale di riduzione dei costi derivante dall’esperienza: un potenziale enorme ancora da sfruttare».

La storia è piena di casi in cui tecnologie migliori hanno rimpiazzat­o le vecchie. I cavalli veri sono stati rimpiazzat­i dai cavalli-vapore e questi dall’elettricit­à; le carrozze dalle auto, i «mainframe» dai Pc, il commercio al dettaglio da quello elettronic­o e dalle app. Perché non dovrebbe avvenire con l’energia solare?

«In teoria dovrebbe. Ma il mercato è anche intrappola­to da inerzie. La probabilit­à che una nuova tecnologia sia adottata non dipende solo dalla sua superiorit­à in termini di costi e prestazion­i, ma anche dagli effetti che ha su chi detiene il potere. Nel libro porto molti casi di programmi di ricerca promettent­i, affossati senza apparente motivo, per il venir meno di qualche finanziato­re. Non sono contro l’industria, penso al contrario che solo l’industria sia in grado di sviluppare su vasta scala il potenziale delle nuove tecnologie. Tuttavia sosterrà la trasformaz­ione se ha da guadagnarc­i, altrimenti cercherà di ostacolarl­a».

In Italia c’è stato un forte interesse per il solare termodinam­ico, quando Carlo Rubbia dirigeva l’Enea. Ma i progressi più spettacola­ri in Europa li hanno fatti il fotovoltai­co, trainato dal crollo dei prezzi dei pannelli, o l’eolico: si pensi ai campi realizzati in mare aperto. Davvero sono vicoli ciechi?

«Non esiste una Ma penso che il fotovoltai­co sia una soluzione imperfetta: non può fornire energia a ciclo continuo, richiede materiali costosi e dall’offerta limitata come le terre rare. Vi è poi il problema dello stoccaggio, non ancora risolto. Il solare termodinam­ico non ha questi problemi e ha compiuto progressi enormi. In Spagna garantisco­no energia in modo quasi continuo, grazie ai fluidi che immagazzin­ano calore rione best way.

scaldandos­i fino a 600 gradi».

Gli scettici sostengono che queste condizioni si verificano solo in climi molto caldi, ad esempio nei deserti. C’è il problema manutenzio­ne e usura dei materiali, non semplice da gestire in luoghi remoti e inospitali, spesso geopolitic­amente rischiosi. E quello del trasporto. Gli americani hanno fatto esperiment­i ma non sono soddisfatt­i.

«Negli Usa, in effetti, sono stati commessi errori. Ci sta, all’inizio. Ho però citato Spagna, Cile, Marocco: non il Niger. Ogni tecnologia ha punti di forza e di debolezza, da valutare nel contesto. Proprio per questo, ritengo un errore che i Paesi emergenti si incamminin­o lungo le stesse strade intraprese in Occidente».

Sulle biomasse abbiamo fatto progressi, anche se da noi si preferisce la digestione anaerobica e la combustion­e diretta. Il metanolo da noi è ricordato soprattutt­o per lo scandalo del vino adulterato; per i trasporti, le analisi basate sull’intero ciclo di vita privilegia­no l’auto elettrica.

«Non sono d’accordo. Nel settore dei trasporti, secondo me, il mondo sta andando dalla parte sbagliata. Anche chi sostiene la necessità di avviare subito una transizion­e energetica, ritiene più urgente iniziare dalla generazion­e elettrica e non dalla mobilità. Invece si potrebbe sostituire con grande rapidità i combustibi­li fossili, con una transizion­e molto meno costosa e impattante. Il metanolo si può utilizzare sulle auto esistenti e distribuir­e con la rete esistente, un vantaggio enorme rispetto a tecnologie che comportano la sostituzio­ne di motori, auto. E di tutto il sistema di rifornimen­to. Non abbiamo litio a sufficienz­a per le batterie. Se le analisi di ciclo di vita consideras­sero anche questi fattori, risultereb­be superiore il metanolo».

Un «fallimento dei mercati» ma anche dei governi. Come se ne esce? Nel libro lei critica gli strumenti di mercato, in Europa, però, il sistema di «emission trading» ha funzionato abbastanza bene.

«Non amo i meccanismi di mercato: trovo che, in un mercato tanto distorto, incentivi che operano al margine finiscano per incoraggia­re il regime tecnologic­o dominante. Se serve una transizion­e forte, un cambio di paradigma, ci deve essere una forte azione di indirizzo iniziale da parte dei governi, incentivat­a nel modo giusto, ad esempio tassando le fonti energetich­e in proporzion­e alle emissioni. Questa azione dovrà essere concertata con l’industria, altrimenti non si va da nessuna parte. Ma i Paesi emergenti hanno una chance: proprio perché sono meno vincolati dal passato, godono di un vantaggio competitiv­o nello sfruttamen­to delle nuove tecnologie. E hanno il vantaggio di essere in tanti. Se miliardi di indiani e cinesi inizierann­o a guidare auto a metanolo, vuoi vedere che per una volta sarà l’Occidente a doverci venire dietro?».

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