Corriere della Sera - La Lettura
Il topo di Einstein può svelarci cosa c’era prima del Big Bang
L’intervista Thibault Damour insegna Fisica teorica in Francia, ha sfiorato due volte il Nobel e ha pubblicato la graphic novel «Il mistero del mondo quantistico» Con «la Lettura» fa il punto sulle frontiere della ricerca e sull’urgenza di un dialogo tra scienza e filosofia
«Questa prima immagine in cui si vede un buco nero rappresenta un affascinante progresso sperimentale. Non era stata mai osservata una luce emessa nelle vicinanze di un buco nero gigante situato a più di 50 milioni di anni luce dalla Terra. Tuttavia, il suo significato teorico è incerto: si vede un effetto ottico creato dal forte campo gravitazionale del buco nero? O si vede essenzialmente un disco di materia calda intorno a un buco nero? La questione resta aperta»: Thibault Damour (fisico francese di fama internazionale, che lavora da molti anni sulle scoperte di Einstein, sui buchi neri, sulle onde gravitazionali, sulla teoria delle stringhe) parla delle sue ricerche e della foto catturata in aprile dall’Event Horizon Telescope che in poche ore ha fatto il giro del mondo. «Comunque — aggiunge Damour — questa immagine rimarrà una tappa importante nel lungo cammino intellettuale che ha trasformato uno strano oggetto matematico, contenuto virtualmente nelle equazioni di Einstein, in un oggetto fisico “reale” che ha molteplici conseguenze in astrofisica, e pone ancora sfide alla fisica teorica più avanzata».
Ex allievo dell’École normale supérieure di Parigi, professore di Fisica teorica nell’Institut des Hautes Études Scientifiques (Ihes) di Bures-sur-Yvette, membro dell’Accademia delle Scienze dal 1991, Damour ha ricevuto numerosi riconoscimenti in Europa e negli Stati Uniti, tra cui due medaglie del Cnrs (di bronzo nel 1980 e d’oro nel 2017), la medaglia Eins te i n a Berna nel 1 996 e l a medaglia Amaldi nel 2010.
Lo incontriamo a Parigi in compagnia
di Alain Connes e Laurent Lafforgue (due medaglie Fields che fanno ricerca nello stesso prestigioso Ihes) e del suo collega visiting professor Ugo Moschella, fisico dell’Università dell’Insubria. Dopo un pranzo animato da una vivace discussione sul futuro della ricerca scientifica sempre più minacciato dall’ossessione del profitto, Damour ci invita nel suo studio assieme a Moschella (che ha tradotto, per l’editore Gribaudo, il suo libro-fumetto Il mistero del mondo quantistico), per discutere di Einstein e dei suoi lavori teorici.
Professore, partiamo dai recenti ritrovamenti di manoscritti e lettere del grande scienziato tedesco…
«Ci sono carte assolutamente nuove. Gli editori degli Einstein’s Papers di Gerusalemme e della California mi hanno confermato che buona parte di questi documenti è inedita. Mi ha colpito in particolare la lettera nella quale, esprimendo le sue condoglianze al matematico francese Elie Cartan per la morte della moglie, Einstein dice che quella grave perdita rende ancora più difficile per noi to hold fast (“tenere duro”) nella convinzione, inevitabile per un fisico che conosce la relatività generale, che l’“adesso”, il tempo presente con il suo fardello di dolori, è solo un’illusione e non appartiene alla realtà. È questo l’esempio del legame che mi interessa tra la fisica e la sua interpretazione filosofica…».
Allude alla contrapposizione tra le «due culture» (quella scientific a e quella letteraria)?
«Esattamente. Se in Italia c’è un dialogo vivo tra scienziati e umanisti, in Francia i filosofi, persino quelli che si occupano di storia della scienza, paradossalmente trascurano la scienza stessa. Sarebbe interessante tornare indietro e chiedersi cosa si possa imparare oggi dalla scienza moderna: quali lezioni filosofiche Einstein traeva dalla relatività generale? E quali lezioni filosofiche si possono trarre dalla meccanica quantistica?».
Esiste un conflitto tra relatività generale e fisica quantistica? Si può trovare una teoria quantistica della gravità?
«Einstein aveva capito che la sua teoria della gravitazione sarebbe stata un giorno centrale in tutta la fisica, anche in quella quantistica e delle particelle. Ma negli ultimi anni della sua vita alcuni pensavano che Einstein fosse rimbambito: Jack Steinberger, premio Nobel per la Fisica, racconta che negli anni Cinquanta a Princeton il lavoro di Einstein era considerato Scheisse (merda). Però adesso la visione di Einstein è la nostra. E non bisogna limitarla solo agli aspetti tecnici…».
Ma esiste oggi una teoria che riesca a mettere insieme gravitazione e fisica quantistica?
«La questione resta aperta. Io credo che la risposta possa venire dalla teoria delle stringhe: una teoria ancora non compiuta, non chiara in ogni suo aspetto, ma in cui la gravitazione esce dalla descrizione quantistica di una stringa. Va considerata come un cantiere aperto, talmente ricco che, a mio parere, potrebbe contenere anche la soluzione completa del problema della gravità quantistica. Anche io, modestamente, sto lavorando su alcuni segmenti di questa teoria. In particolare a un modello che cerca di fare
emergere lo “spazio” a partire da strutture che non lo presuppongono. Nel Big Bang, come si dice, lo spazio compare a partire dal nulla, ma non è il nulla. La questione è se ci sia una struttura fondamentale che spieghi la comparsa dello spazio così come lo conosciamo oggi…».
I suoi lavori hanno sfiorato il Nobel...
«Per due volte. La prima, qualche anno fa, a proposito delle pulsar binarie (sistemi fatti di due stelle di neutroni che orbitano l’una attorno all’altra). Gli sviluppi teorici di cui sono responsabile hanno permesso di interpretare e comprendere quello che si osservava e di dimostrare che le due stelle giravano sempre più rapidamente l’una attorno all’altra perché la gravitazione si propagava alla velocità della luce tra i due corpi. Per tali osservazioni Russell Hulse e Joseph Taylor sono stati insigniti del Nobel nel 1993…».
E la seconda?
«Risale a due anni fa, per lo studio del movimento di due buchi neri. La scoperta delle onde gravitazionali provenienti da sistemi di due buchi neri, che orbitano sempre più rapidamente uno intorno all’altro fino a fondersi per formarne uno solo, è stata resa possibile dalla teoria e dalle formule che ho elaborato con i miei collaboratori. Bisogna rendersi conto che un’onda gravitazionale emessa da due buchi neri che si uniscono a un miliardo di anni luce da noi, quando arriva sulla Terra è annegata nel rumore di fondo. Sarebbe come voler sentire un sospiro in mezzo a una folla urlante. Per estrarre il segnale dal rumore ci vogliono strumenti matematici adatti a rappresentare la fisica di queste onde gravitazionali. E per fare questo gli sperimentatori hanno utilizzato i calcoli che ho fatto nel 2000 con una giovane scienziata italiana, Alessandra Buonanno, allora borsista post-doc all’Ihes. Ora dirige a Berlino una sezione del Max Planck Institute di Fisica gravitazionale».
Come è nata l’idea di raccontare in un libro a fumetti i misteri del mondo quantistico?
«Un giovane disegnatore belga interessato a capire la meccanica quantistica mi scrisse proponendomi un progetto. Avevo già pubblicato libri di divulgazione, perciò mi sembrò importante usare le immagini per spiegare concetti altrimenti troppo sottili. Con il fumetto avrei potuto dire cose sulla fisica quantistica che non erano state ancora dette».
Quali?
«Spiegare ciò che aveva capito un giovane americano, Hugh Everett. Il 14 aprile 1954 Einstein, un anno prima di morire, tenne la sua ultima conferenza sulla meccanica quantistica a Princeton. In quell’occasione, non si scagliò contro la meccanica quantistica, tutt’altro. Il suo problema era capire perché le probabilità apparissero. Diede allora l’esempio di una biglia — diciamo di un millimetro — contenuta in una scatola. Se si aspetta qualche miliardo di anni, secondo la meccanica quantistica tale biglia, e questo è il punto, diventa sfocata, diventa quantistica. Sappiamo che un elettrone all’interno di un atomo non è in una posizione particolare ma è sfocato, la sua presenza nello spazio è sfocata. Einstein ci dice che questo fenomeno non si limita al mondo microscopico. Nell’interpretazione della meccanica quantistica in voga a quell’epoca e in parte anche oggi, il fatto di fare un esperimento su un sistema quantistico, il fatto di osservarlo, lo fa “precipitare” in uno stato ben definito, lo fa passare improvvisamente dal mondo microscopico sfocato a quello macroscopico preciso…».
E allora?
«Proprio in quella conferenza Einstein si chiese: è credibile che lo sguardo di un topo (non soltanto un uomo può essere un osservatore, ma anche un topo!) possa cambiare drasticamente l’universo? Questa frase colpì quel giovane americano di venticinque anni tra il pubblico. Fu lui, a mio parere, a offrire l’interpretazione della meccanica quantistica più credibile e logicamente possibile. Nel fumetto cerco di descriverla: per questo la vignetta che mi piace di più è quella del “topo di Einstein”, che pochi conoscono, al contrario del famoso gatto di Schrödinger (quello del famoso e “paradossale” esperimento concettuale in cui il gatto è, allo stesso tempo, vivo e morto)…».
Che cosa aveva capito Everett?
«Ascoltando Einstein aveva capito che la fisica quantistica ci parla anche del mondo macroscopico. E che anche noi siamo sfocati. Così la descrizione abituale del mondo macroscopico (dove c’è un solo universo) deve essere rimessa in discussione. La risposta alla domanda “cos’è la realtà quantistica?” non deve essere imposta dall’esterno, dalla nostra volontà, ma deve essere cercata nelle equazioni della fisica: sono queste equazioni che definiscono ciò che è reale e ciò che non lo è. Un’idea profonda che Einstein aveva espresso in precedenza, un messaggio filosofico fondamentale che non è stato ben capito e che si applica alla relatività generale e alla meccanica quantistica: bisogna adattare la nostra immagine della realtà alle equazioni della fisica…».
Quali sono oggi le sfide della fisica?
«Tecnicamente, la teoria dello spazio e del tempo che abbiamo ereditato da Einstein funziona bene tra 10- 16 centimetri e 1033 centimetri e questo è già molto vasto. La teoria quantistica, invece, funziona bene tra 10- 18 centimetri e diciamo dieci chilometri. Dunque tra le due c’è sovrapposizione e quindi sappiamo che la teoria quantistica della gravitazione esiste e che è già messa alla prova entro certi limiti. Ma non abbiamo ancora uno schema unificato per una teoria che spieghi tutto tra 10- 33 centimetri e 1033 centimetri. L’altra cosa è che la fisica delle particelle ha scoperto che il mondo subatomico ha una struttura piuttosto complessa: ci sono diverse famiglie di particelle e diversi tipi di interazione tra le particelle: la forza elettromagnetica, la debole, la forte, la forza di Brout-Englert-Higgs scoperta di recente…».
Come sono descritte queste forze?
«Tutte sono descritte in un quadro matematico che è contenuto nella teoria della relatività generale. Ma se si vuole includere la generale stessa tra le altre interazioni c’è qualcosa che non funziona e dunque non sappiamo ancora spiegare perché l’universo è com’è, qual è l’origine dello spazio e del tempo, e qual è l’origine delle particelle che conosciamo. Sappiamo però che le teorie del XX secolo sono tutte collegate tra loro e affondano le radici nella teoria di Einstein. Per cui, come ho accennato prima, l’opposizione che si fa tra fisica quantistica e relatività generale non corrisponde al vero. Ma è vero che non abbiamo uno schema unificato per spiegare che cosa c’era prima del Big Bang... La teoria delle stringhe potrebbe rispondere a questo…».
Che ruolo ha avuto la cultura letteraria e filosofica nel suo percorso formativo?
«Mi ha aiutato a chiarire i concetti. Faccio un esempio: adesso lavoro a quello che c’era “prima” del Big Bang, la descrizione dell’universo quando non c’erano né spazio né tempo. Il punto di vista è filosofico: sono le equazioni a dirci cos’è la realtà e non il contrario».
E se dovesse ricordare un incontro fondamentale nella sua carriera?
«Con lo scienziato italiano Remo Ruffini. Quando arrivai negli Usa conoscevo la teoria matematica dei buchi neri. Fu lui, a Princeton, a dirmi che stavano succedendo cose importanti in quel campo. Lavorando con Remo ho capito che c’era un modo diverso, meno matematico e più intuitivo, di pensare alla fisica: bisognava considerare i campi magnetici, gli aspetti quantistici, la realtà fisica. In pochi mesi abbiamo scritto cinque articoli con idee nuove. È stata la collaborazione che più mi ha arricchito nella mia vita».
Un motto che ha ispirato il suo lavoro di scienziato?
«Ancora una volta c’entra l’Italia. A Ravello, dove Wagner aveva trovato l’ispirazione per terminare il Parsifal, visitando la Villa Ruffolo ho scoperto una lapide che celebrava il “culto dell’arte e della scienza nell’eterna armonia del bello e del vero”. Ecco, lo scopo principale della ricerca scientifica è proprio quello di indagare “l’eterna armonia del bello e del vero”».
SSS Ipotesi «Una spiegazione che metta insieme gravitazione e fisica quantistica? Credo che la risposta possa venire dalla teoria delle stringhe»