Corriere della Sera - La Lettura
Un sermone umile nel nome di Maria
Alessandro Zaccuri intreccia la storia della Madonna e quella della propria madre
Alessandro Zaccuri con Nel nome scrive uno dei suoi libri più intimi ed enigmatici, e questo si comprende già dalla forma con cui si presenta a noi lettori. È un saggio? Un memoir? Una raccolta di prose? È la somma di queste categorie, tenute insieme dalla costante indagine di Zaccuri sul nome, più comune e misterioso, della Sacra Scrittura: quello di Maria, che contiene in sé la storia della madre di Gesù e la storia della madre dell’autore stesso. In costante e continuo slittamento Zaccuri, che racconta dal punto di vista del
figlio, guarda alle vicende di Maria e a quelle della propria madre come una storia di amore, di passione, di dolore, lutto e accettazione. Con una forma di sincerità potente, perché inverata in una prosa limpida, mai didascalica, in cui ogni singola frase pare sorgere necessaria, l’autore racconta la storia della morte per malattia della propria madre.
Non c’è nessun compiacimento, nessuna via crucis del dolore, ma uno sguardo profondo e fermo, della fermezza di chi guarda le cose del mondo con l’occhio della fede, sul mistero della vita umana, che ha in sé anche la malattia e il dolore, oltre alla gioia e la bellezza. Come gli altri testi di CroceVia, la collana di NNE, che recupera e ripropone in termini di modernità la Scrittura, Zaccuri lavora su una sorta di piano doppio, che ha come suo neppure tanto nascosto interlocutore il Carrère de Il regno. Nel testo sono presenti, infatti, pagine molto profonde di riflessione letteraria, critico-estetica su passi dei Vangeli, descrizioni e brevi dissertazioni su opere pittoriche.
Diversamente da Carrère, in cui l’apparato didascalico entra in frizione con il racconto del sé, Zaccuri riesce a dominare meglio la duplice tensione e il passaggio dall’erudizione saggistica alla confessione intima o al racconto di un episodio simbolico è gestito con maggiore sapienza. Questa capacità è legata alla lingua di Zaccuri.
Alla lettura si accompagna l’impressione di facilità; le frasi si susseguono senza un inciampo, o una forzatura. È veramente, o almeno pare, un italiano medio ciò che la pagina ci consegna, ma la sapienza compositiva del suo autore sta in questa presunta semplicità. Il lavoro sulla lingua è costante, prova ne sia l’aggettivazione ridotta al minimo ma precisa o l’attenzione al montaggio delle sequenze narrative in cui il dosaggio nelle notizie, le ripetizioni, le reticenze spiegano come Zaccuri abbia preso a modello la scrittura dei Vangeli, che non sono tanto atto di testimonianza, ma racconto — novella — che non tende tanto alla restituzione della realtà, quanto a mostrare la verità. La lingua di Zaccuri è una sorta di riproposizione moderna del sermo humilis della Scrittura, che è il tentativo di trovare la profondità della rivelazione a partire dalle piccole cose, come un comunissimo nome di tre sillabe che tiene in sé il mistero dell’essere umano e di Dio.