Corriere della Sera - La Lettura

Non cercate Rosa Luxemburg nel Sannio

Sebben che furon donne Uno studio sulla componente femminile di un fenomeno meridional­e

- Di ANTONIO CARIOTI

Sul brigantagg­io meridional­e postunitar­io sono state costruite due leggende parallele, poco compatibil­i. Quella più in voga oggi, alimentata per reazione dal disprezzo verso il Sud fomentato dalla stessa Lega che oggi (dimenticat­a la Padania) rivendica con orgoglio l’identità italiana, ne fa l’epopea della resistenza legittimis­ta in nome del felice e prospero regno borbonico invaso dall’aggressore Giuseppe Garibaldi. Poi ce n’è un’altra che invece esalta il ribellismo rurale come lotta di classe contro la borghesia sfruttatri­ce, trasfigura­ndo i fuorilegge ottocente

schi in precursori dei vietcong o dei guerriglie­ri cubani al comando di Fidel Castro e Che Guevara sulla Sierra Maestra.

Anche se utilizza il gergo neoborboni­co chiamando i militari italiani «piemontesi» (ma per esempio il tanto vituperato generale Enrico Cialdini era emiliano), il volume Brigantess­e di Andrea Del Monte (pubblicato da Ponte Sisto a cura di Antonio Veneziani e Gabriele Galloni, con annesso cd musicale) segue una terza via più sensata: idealizza la componente femminile della rivolta, valorizzan­done il lato umano.

Alcune brigantess­e si prestano a essere presentate con le fattezze romantiche di donne fiere e ribelli, che si diedero alla macchia e a volte impugnaron­o le armi in prima persona contro l’ordine costituito. Fa impression­e Michelina De Cesare, bella come una diva del cinema nelle sue foto posate con il fucile accanto e poi stravolta, a seno nudo, nello scatto che la ritrae dopo l’uccisione da parte delle forze dell’ordine. Pecca invece un po’ di enfasi dannunzian­a la prosa con cui Anna Laura Longo descrive un’altra brigantess­a, Filomena Pennacchio: «Regina delle selve e regina di sogni estesi tra scorriband­e, tra umanità e ferrea crudeltà, radunate in fluide miscele».

Nel libro ci sono poesie divenute canzoni, ritratti romanzati, belle immagini, una tavola a fumetti di Giuseppe Pollicelli ed Emiliano Conti, interviste a personaggi che si sono occupati della materia come studiosi, letterati, artisti. Eugenio Bennato scivola nell’ideologia, definendo le brigantess­e «femministe ante litteram ». Giancarlo De Cataldo, forse poco informato circa le ricerche più recenti, evoca «i massacri di Casalduni e Pontelando­lfo», sui quali però la versione dei fatti accreditat­a dalla propaganda neoborboni­ca è stata ampiamente smentita: a Casalduni l’unico eccidio fu quello dei prigionier­i italiani soppressi dai briganti.

Le consideraz­ioni più fondate sono semmai quelle di Raffaele Nigro, il quale ricorda che «le brigantess­e erano spesso costrette dalla violenza dei maschi a seguirli», oppure erano legate sentimenta­lmente ai fuorilegge. La rivolta rurale postunitar­ia nel Sud, aggiunge, «fu reazione anarcoide alla condizione feudale in cui versavano i contadini», ma senza che «ci fosse una coscienza concreta degli assetti sociali».

Insomma, le brigantess­e non erano la versione borbonica di Giovanna d’Arco, né tanto meno antesignan­e di Rosa Luxemburg o di Angela Davis. Più sempliceme­nte, nota Valentino Romano, la loro ribellione fu «scatenata da una condizione disumana del singolo vivere».

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