Corriere della Sera - La Lettura
LA MUSICA LITURGICA PERÒ LANGUE
Se si osserva ciò che accade in altri Paesi, il panorama della musica liturgica in Italia appare di modestia davvero straordinaria. Fatte salve lodevoli eccezioni, chi entra in una chiesa nel nostro Paese non può evitare di notare la sciatteria con la quale si è risposto alle necessità musicali. Perché da noi, negli ultimi cinquant’anni, ha prevalso la banalità. Non lo ha ordinato il medico. E nemmeno il Concilio Vaticano II. Avvicinare i fedeli attraverso una liturgia diversa da quella del passato avrebbe potuto significare molte cose. E invece, nella terra di Monteverdi, di Palestrina, di Pergolesi, si è deciso il divorzio dalla musica classica a favore di altro.
Il confronto con il panorama internazionale è impietoso. Alcuni tra i più grandi compositori del mondo hanno scritto e scrivono musica liturgica, che viene abitualmente utilizzata durante le funzioni. Nelle chiese estoni si intonano volentieri i brani di Arvo Pärt — gli stessi che poi, incisi dalla Ecm, scalano le classifiche discografiche. In Gran Bretagna per la funzione legata alla visita ufficiale di Papa Benedetto XVI è stata commissionata musica a James MacMillan, uno dei maggiori compositori viventi, il cui catalogo di musica sacra rifornisce regolarmente le chiese d’Oltremanica. In Polonia si esegue normalmente la musica di Henryk Mikołaj Górecki, l’autore che con la propria Terza sinfonia ha raggiunto un successo planetario.
Da noi, invece, a partire dagli anni Sessanta nessun compositore significativo è stato coinvolto nella produzione di musica liturgica destinata a una reale diffusione. Poco contano, purtroppo, i fiori che ogni tanto sbocciano grazie a committenti illuminati, se l’atteggiamento generale della Chiesa italiana, attraverso i propri canali di distribuzione del repertorio, è ideologicamente contrario. E così, in luoghi dove lo Spirito potrebbe trovare una veste musicale bella, forte, emozionante, continuiamo ad ascoltare compitini tristi.