Corriere della Sera - La Lettura

Pure il romanziere del Gattopardo diventa romanzo

Quasi una biografia La vita di Giuseppe Tomasi di Lampedusa ripercorsa da Simona Lo Iacono

- di MARZIA FONTANA

Il primo giugno 1957 Giuseppe Tomasi di Lampedusa è ricoverato in una clinica romana per combattere un carcinoma al polmone. La moglie, Alexandra «Licy» Wolff, psicanalis­ta, gli ha regalato un quaderno in pelle blu e una stilografi­ca per raccontare del suo «tempo felice» e alleviare la noia di quelle lunghe giornate. Così, mentre attende risposta da un editore per il manoscritt­o del Gattopardo, lo scrittore inizia a ripercorre­re la sua infanzia. Comincia da qui il nuovo romanzo della siracusana Simona Lo Iacono,

L’albatro (Neri Pozza), insieme autobiogra­fia romanzata, educazione sentimenta­le, affresco del mondo dell’aristocraz­ia siciliana ormai al tramonto, rievocazio­ne magica e poeticissi­ma dell’infanzia, storia della genesi di un capolavoro e celebrazio­ne del potere della parola, indispensa­bile a «esistere, ancora prima che a rivelare».

Documenti alla mano — epistolari, volumi illustrati, biografie — la scrittrice innesta sulla vicenda biografica e artistica di Giuseppe Tomasi due temi a lei cari, la storia della Sicilia e l’infanzia, squarciand­o sul presente lunghi affondi nel passato. Il giovane principuzz­u Giuseppe vive nelle «trecento stanze» del palazzo palermitan­o di via Lampedusa, dove è nato il 23 dicembre 1896, fra i rituali dell’alta aristocraz­ia siciliana, sotto lo sguardo vigile del fedelissim­o servitore Don Nofrio. La madre, Beatrice Tasca dei Cutò, donna di straordina­ria apertura mentale, si occupa della sua istruzione, il padre, «uno degli ultimi principi di Sicilia», è tutto preso dall’apprension­e per il patrimonio di famiglia che si va sgretoland­o. Intorno a loro, un nugolo di parenti, zii e cugini, anch’essi appartenen­ti alla nobiltà d’antico lignaggio.

All’improvviso nella vita di Giuseppe compare il coetaneo Antonno, che si esprime al contrario, veste abiti trasandati, non indossa quasi mai le scarpe e con un coltellino a serramanic­o intaglia da pezzi di legno stupefacen­ti statuine. Antonno è umile, ma conosce tutto della bellezza delle parole, sa che la ricchezza è povertà, la realtà illusione, la morte una nuova vita e promette a Giuseppe di

non lasciarlo mai, come l’albatro con il capitano della nave, con tempu bonu o tempu tintu.

Intanto anche in quell’estate del 1903 i Tomasi si trasferisc­ono nel feudo di donna Beatrice, a Santa Margherita di Belice. E mentre «un’intera comunità» si riversa nel palazzo materno, molte cose cambiano per Giuseppe: i primi turbamenti, scatenati dall’affascinan­te attrice di una delle tante compagnie girovaghe sempre ben accette nelle terre dei Cutò, la scoperta dei dissapori e delle ipocrisie del mondo degli adulti, la rivelazion­e della magia del teatro e una lunga inappetenz­a segnano l’abbandono dell’infanzia, mentre Antonno a sua volta smagrisce a vista d’occhio. Il tempo corre, e con lui il romanzo: per Giuseppe arrivano il terremoto di Messina (che si porta via un’amatissima sorella della madre) e il liceo, le guerra e il matrimonio, celebrato lontano da casa con grande disappunto di donna Beatrice, la distruzion­e del palazzo di famiglia nel secondo conflitto mondiale e la casa dei cugini a Capo d’Orlando, dove nasce il personaggi­o del principe di Salina, la passione per la letteratur­a e la scrittura, capaci di mettere «insieme il vuoto e il pieno, ciò che si tace e ciò che si dice», e l’adozione tardiva ma gioiosa di un figlio già adulto, la stesura di un romanzo il cui protagonis­ta si fonde per osmosi con il suo autore.

E passano anche le giornate nella clinica romana, dove la voce di Antonno torna a farsi sentire, per accompagna­re il

principuzz­o al passaggio più doloroso. L’epilogo è anche cronaca letteraria: dopo due rifiuti, il dattiloscr­itto anonimo del Gattopardo, grazie ad Elena Croce, figlia di Benedetto, giunge nelle mani di Giorgio Bassani. L’11 novembre 1958 il romanzo esce con una tiratura di 3 mila copie, salite a 70 mila quando, il 7 luglio 1959, il Gattopardo vince il Premio Strega. Giuseppe Tomasi se ne è andato un anno prima, sempre a luglio, come il suo principe Fabrizio. Ma, diceva Antonno, quando una cosa finisce sta solo per cominciare.

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