Corriere della Sera - La Lettura
Ritorno a Fukushima 280 chilometri a piedi
L’estate di quest’anno doveva essere quella dell’Olimpiade di Tokyo, e l’Olimpiade di Tokyo doveva essere l’occasione per annunciare al mondo la rinascita della zona colpita dallo e dal del Niente. Uno scrittore nato laggiù è voluto comunque tornare a casa. A piedi
GIAPPONE
Centrale nucleare
Non immaginavo che potesse andare a finire così... Come tutti i giapponesi, ero certo che il 24 luglio 2020 si sarebbe svolta la cerimonia d’apertura dei Giochi olimpici di Tokyo e che il 9 agosto si sarebbe svolta quella di chiusura. E in quell’arco di tempo, io, nato e vissuto nella prefettura di Fukushima fino all’età di diciotto anni, avevo in mente di allontanarmi da Tokyo. Vivo nella capitale giapponese da oltre trent’anni e avevo pensato di tornare nella mia terra natia durante l’Olimpiade, soprattutto perché i Giochi olimpici di Tokyo erano stati annunciati come i giochi della «Rinascita olimpica»: la rinascita dopo il Grande terremoto del Giappone orientale dell’11 marzo 2011.
Quel terribile sisma di magnitudo 9.0 provocò uno tsunami catastrofico e il meltdown dei reattori della centrale nucleare di Fukushima. Da allora quali segnali di ripresa hanno mostrato i luoghi devastati dal disastro? Il governo giapponese, con l’intento di fornire una risposta a questo interrogativo, aveva messo in atto un progetto basato sul motto: «Facciamolo sapere al mondo intero attraverso l’Olimpiade!». A tale scopo si era stabilito che la staffetta della sacra fiamma olimpica in Giappone avrebbe dovuto partire da Fukushima nell’ultima decade di marzo di quest’anno e, inoltre, che alcune competizioni si sarebbero svolte entro i confini della stessa prefettura. Al che ho cominciato a nutrire seri dubbi sul programma del governo... Se proprio si voleva dare il massimo risalto a questa «Rinascita olimpica» — mi sono detto — perché non svolgere l’intera Olimpiade a Fukushima anziché a Tokyo? Che senso ha parlare di rinascita in relazione a Fukushima se i Giochi olimpici sono di Tokyo? Forse si voleva semplicemente sfruttare la tragedia di Fukushima?
Ed è così che mi è balenata nella mente un’idea: nel periodo tra la cerimonia d’apertura e quella di chiusura dell’Olimpiade, appunto dal 24 luglio al 9 agosto, voglio essere a Fukushima. Voglio girare per le strade della prefettura e ascoltare la voce della gente. E, dal momento che i Giochi olimpici si basano su una «competizione fisica», anch’io proverò a fare affidamento solo ed esclusivamente sulla mia forza fisica. Così ho deciso di effettuare il mio viaggio da un’estremità all’altra di Fukushima a piedi. Le mie gambe, il mio unico motore.
Ho 54 anni. Mi toccava percorrere circa 300 chilometri con un pesante zaino in spalla, per di più in piena estate. Perciò, a partire suppergiù dalla fine di dicembre dell’anno scorso, ho cominciato ad allenarmi con un preparatore atletico. Mi sono anche rivolto a un medico e mi sono fatto spiegare per filo e per segno come scongiurare colpi di calore e malanni simili. Infine mi sono documentato a fondo su come evitare incidenti e contrattempi di varia natura. Tra l’altro va ricordato che una grande quantità del materiale radioattivo prodotto in seguito all’incidente di marzo 2011 si trova attualmente nel sito della centrale nucleare di cui è previsto lo smantellamento. E il mio percorso a piedi comprendeva le strade dove viaggiavano tutti i giorni più di duemila camion impegnati nel trasporto dei rifiuti radioattivi. In fin dei conti, più di ogni altra cosa, avevo bisogno di sviluppare i muscoli e quel particolare istinto animale che permette di riconoscere ed evitare il pericolo.
Quando mi capita di andare all’estero, a volte la gente mi rivolge strane domande, del tipo: «A Fukushima ci vive ancora qualcuno?». Ma certo che sì! Stando ai dati del luglio scorso, la prefettura conta oltre 1.820.000 abitanti. Permane tutt’oggi un’area contaminata inabitabile, ma si tratta di una zona non molto estesa e sotto stretta sorveglianza. Tuttavia spesso ho l’impressione che solo una parte di queste informazioni arrivi in forma completa a voi che state all’estero, perché purtroppo è così che funzionano le cose ed è inutile sperare il contrario. Nel senso che di solito le notizie nazionali che vengono diffuse nel resto del mondo sono «brutte notizie».
Faccio un esempio: nella prima metà di quest’anno in Giappone sono arrivate moltissime notizie dall’Italia, dal momento che nel vostro Paese imperversava l’epidemia di Covid-19. Nel vedere quelle immagini atroci, nell’apprendere la vostra tragedia, anche noi giapponesi abbiamo versato lacrime di profonda tristezza. E adesso? In Giappone continuano ad arrivare informazioni che riguardano l’Italia? No, quasi per niente. Perché il picco dell’epidemia è passato e l’Italia non figura più tra i primi cinque Paesi al mondo per il numero dei contagi
e delle vittime. In parole povere, le informazioni su un Paese o un’area del nostro pianeta diminuiscono in modo direttamente proporzionale al miglioramento della situazione, fino a scomparire del tutto.
Anche nel caso di Fukushima, mia terra d’origine, è stato così. La situazione è cambiata in meglio e nel resto del mondo si è smesso di parlarne. E, ancora peggio, è rimasta soltanto l’immagine del disastro iniziale, della «catastrofe nucleare tipo Cernobyl».
Non ho citato a caso il Covid-19. Come tutti sanno, la pandemia ha causato la sospensione e il rinvio dell’Olimpiade di Tokyo. Ultima decade di marzo, l’annuncio choc: i Giochi olimpici sono rimandati alla prossima estate! La mia reazione? Bene, andrò avanti lo stesso! Niente più staffetta della fiamma olimpica con partenza da Fukushima. Niente più gare (softball e qualcos’altro) entro i confini della prefettura. Quest’estate Fukushima resterà vuota, e io camminerò in quello spazio vacuo e silenzioso. Sì, lo farò, terrò fede al mio intento iniziale! E così ho continuato ad allenarmi. Dopotutto niente mi toglierà mai dalla mente che lo slogan della «Rinascita olimpica» della mia Fukushima non fosse altro che un pretesto ipocrita. Ho cominciato a pensare che, in quest’estate senza Olimpiade, la mia terra d’origine mi avrebbe mostrato più che mai la sua vera faccia. Non è stato facile proseguire l’allenamento, ma ho stretto i denti e sono andato avanti, in questi mesi in cui anche a Tokyo, pur senza l’obbligo del lockdown, il monito era di rimanere chiusi in casa. Così ho continuato a fare pesi e ginnastica tra le pareti domestiche e, prestando attenzione a scegliere le strade meno affollate, munito di mascherina, ho continuato a percorrere 10 o 20 chilometri al giorno.
La prefettura di Fukushima è attraversata da due catene montuose e di conseguenza si può suddividere in tre aree geografiche. La centrale nucleare colpita dal terremoto e dallo tsunami del 2011 si trova nell’area costiera, sul Pacifico, e ovviamente avevo intenzione di percorrere anche quella zona fin dove fosse possibile. Nei mesi scorsi, per essere precisi intorno alla metà di marzo, il vento forte ha spinto nuvole cariche di sostanze radioattive ben oltre la catena montuosa orientale, e una pioggia fine e sottile è caduta in un territorio molto più ampio del previsto. Da quelle parti sorge la mia cittadina natale, e naturalmente avevo in mente di effettuare un lungo giro anche in quella zona.
Ne ho abbastanza del fatto che si continui a insistere su «Fukushima = contaminazione radioattiva». Eppure, prima di scrivere questo pezzo, ho temuto io stesso di cadere nella trappola e parlare di radioattività e problemi connessi, rischiando di finire dalla parte di coloro che non fanno nulla per cambiare l’immagine negativa di Fukushima che risale al 2011. Il motivo per cui ho deciso di intraprendere il mio viaggio a piedi risiedeva fin dall’inizio nella ferma convinzione che mi sarei imbattuto in una realtà e in eventuali problemi ben diversi da quelli che più o meno tutti contemplano, e che purtroppo sono sempre troppo legati al disastro nucleare e alle sue conseguenze. In poche parole ero alla ricerca di un’altra Fukushima, della vera Fukushima, ed ero sicuro che l’avrei trovata.
Tuttavia non nascondo che provavo al contempo una certa ansia, prevedendo che qua e là mi sarei imbattuto anche in luoghi e situazioni ancora permeati da una luce negativa e priva di speranza, dove l’ombra dell’incidente di quasi dieci anni fa sarebbe stata molto cupa e opprimente. Dopotutto in ogni cosa esistono un lato positivo e uno negativo, il mondo intero è fatto di opposti e niente e nessuno può sfuggire a questa logica duale. Tutti noi, chiunque siamo e dovunque viviamo, possediamo un lato luminoso e uno oscuro. Ed è così che an