Corriere della Sera - La Lettura
Piperno: ho sempre avuto paura di essere infangato da accuse false. Albinati: mi preoccupa di più perdere la valigia a Fiumicino che perdere la vita
Terra sia molto resistente e che se si riuscisse a impostare un suo utilizzo meno devastante il processo sarebbe reversibile.
Probabilmente ho consumato nella militanza giovanile l’ardore di poter mettere il bastoncino nella ruota di un progresso che andava nella direzione sbagliata. Sono stata militante ecologista, abbiamo lottato per le specie animali a rischio, per i grandi predatori, per il nostro lupo appenninico. Abbiamo ottenuto molto, però poi ci siamo resi conto che dovevamo inserirci in sistemi più complessi. Ogni generazione consuma un pezzo del mondo che ci è stato dato: questa è la grande contraddizione. Lottiamo per il chilometro zero ma viaggiamo moltissimo, e viaggiare è uno strumento di conoscenza. Anni fa mi impressionò molto la Groenlandia dove scoprii il grande impoverimento degli Inuit dopo il divieto di cacciare le foche. Era una battaglia ecologista anche quella.
Anche qui sono piuttosto ambivalente. Alcuni spettacoli come quello dei ghiacciai che si sciolgono mi angosciano, benché non abbia elementi per dare ragione a chi ha un atteggiamento apocalittico. Non sono engagé. D’altra parte, per essere sincero fino in fondo, devo confessare che ho difficoltà a interessarmi dell’umanità e quindi dei posteri.
Altrettanto forte della paura è la sua rappresentazione. Nell’arte, nel cinema, nella letteratura. Quale vi interessa di più?
Per me ci sono due aspetti: quello emotivo, di cui ho parlato, e quello estetico. In questo senso la paura è proprio l’antonomasia del barocco. Percepisco una tradizione barocca e quindi molto nobile, con punte di kitsch: una miniera di segni che combinati in un certo modo producono o garantiscono la paura. Isolati sono molto interessanti ma di fatto hanno molto poco a che fare con la paura. Tra l’altro se noi prendiamo le rappresentazioni filmiche, musicali, storiche, pittoriche, letterarie dove c’è la rappresentazione della paura non può esistere quella essenzialità, quella scrittura paratattica che va tanto di moda adesso. Se trasporti pochi segni la paura non scatta.
È interessante come la paura sia stato un elemento portante di interi movimenti; per esempio il Romanticismo, che non esisterebbe se non ci fosse questa attrazione verso l’abisso, il terrore. È interessante anche parlare del piacere che la paura provoca. Io ho il ricordo molto netto di intere notti insonni, da ragazzo, con i racconti di Poe. Non ricordo nulla di più entusiasmante, anche se poi non chiudevo occhio fino al mattino. Anche i miei figli avevano una collezione di quei libri che si chiamavano Piccoli brividi. Li divoravano e io pure... Mettersi a rischio, oppure assistere a un rischio figurato, può essere un piacere languido, forse perverso. Ma c’è anche una paura diversa che mi interessa, al di là del giallo o dell’horror. Una paura più profonda. Come quella che emerge dai libri di David Vogel, scrittore ucraino sfortunatissimo e misconosciuto che testimonia la precarietà e l’attrazione verso di essa. Il suo capolavoro è Vita coniugale, ma ha scritto anche l’incompiuto Romanzo viennese e due meravigliosi racconti, Davanti al mare e La cascata. Poi, non pubblicate in Italia , ci sono le sue poesie dove invece c’è anche una specie di profezia del terrore che verrà e cioè la Seconda guerra mondiale (lui sarà deportato ad Auschwitz). C’è un quadro completo di tutti i sentimenti, sempre dominati da questa sensazione di camminare su un burrone, sull’orlo di un precipizio. C’è una bellissima espressione che ho tratto dalle letterature nordiche, dalle saghe dell’Edda: pattinare sul ghiaccio sottile. Dà l’idea di qualcosa di bellissimo ma molto pericoloso. Non sai dov’è la crepa. È un sentimento preciso, di piacere e allarme.
Non so se la paura può es