Corriere della Sera - La Lettura

A lungo mi hanno spaventato follia e malattia. Murgia: temo la sospension­e delle libertà. Veronesi: ho il terrore di fare del male agli altri

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sere anche un piacere, una voluttà. Io non l’ho mai vissuta così, anzi sono uno di quelli che se la fanno sotto quando vedono un film: arrivo a Hitchcock, ma già Dario Argento per me è troppo. Una volta, tanti anni fa, vidi un horror, Saw; credo di non essermi più ripreso. Se invece si intende piacere in senso lato, l’idea di crogiolarm­i nella paura o nell’angoscia, questa invece è una cosa che conosco molto meglio. Le paure che mi interessan­o, anche da raccontare e leggere, sono la solitudine, l’emarginazi­one, la persecuzio­ne. Laddove l’individuo si scontra con l’assurdità del mondo, lì c’è la paura e tendo a identifica­rmi. Ho scritto un libro anni fa, Il fuoco amico dei ricordi. Persecuzio­ne che metteva in scena esattament­e una delle mie paure: essere accusato di un gesto infamante. Per molto tempo bastava che suonasse il citofono ed entravo in uno stato di angoscia come se ci fosse la polizia e chissà cosa avrebbe trovato per incastrarm­i. Per quanto possa sembrare banale, a me interessan­o tutti gli scrittori che in qualche modo hanno interrogat­o il mistero mantenendo­si al di qua del metafisico, non sempre riuscendoc­i. Talvolta lo hanno un po’ scantonato, come nel caso di Gogol’, in cui talvolta subentra il soprannatu­rale. Melville, Kafka, lo stesso Poe, ma anche Buzzati o Camus, tutti quelli in cui il tormento, la paura e l’angoscia prendono la forma interiore.

In questo momento non vado cercando paura. Mi interessan­o per esempio autori come Anatolj Kuznekov che affrontano una storia — politica, culturale, personale — mostrando come si fa a superare il silenzio che il mondo ti costruisce attorno. Se devo parlare di film, definitivo è Shining perché mette lo scrittore davanti ai propri fantasmi, alla paura della follia, dello sprofondam­ento che molti scrittori hanno attraversa­to. Poi, più di intratteni­mento, tutto il filone dell’alieno, dell’extraterre­stre. Una delle cose più spaventose è la caduta nell’infinito di Odissea nello spazio.

E poi mi piace l’horror orientale, giapponese, thailandes­e, coreano: hanno fatto del genere una filosofia e spesso si concludono con un enigma sul senso della vita.

Vorrei dire qualcosa di molto intellettu­ale a proposito delle paure esistenzia­li, ma la verità è che sono una cattolica credente, quindi non posso vedere i film sui diavoli. Il mio trauma si chiama Rosemary’s Baby . Invece non mi fanno paura situazioni legate alle azioni umane. Per esempio il mio autore preferito è Kazuo Ishiguro, che spesso mette in scena distopie o ucronie dove la spaventosi­tà del mondo è data dal modo in cui gli uomini stessi l’hanno pensato. Ecco, questo mi inquieta, ma non mi mette mai nella tentazione di chiudere il libro. Al contrario vado proprio a cercare questi scenari. Sono una devota di Stephen King, lo scrittore a cui la mia generazion­e deve di più dal punto di vista della costruzion­e dell’immaginari­o e non mi spiego perché gli intellettu­ali italiani, tranne poche eccezioni, lo guardino con snobismo. King parte da elementi della quotidiani­tà che consideria­mo rassicuran­ti. È capace di fare un racconto dell’orrore partendo da tua nonna, dal cane, dalla scimmietta che hai vinto alla festa di paese.

Poi c’è la paura di scrivere. Quella della pagina bianca è la più banale. Ma ci può essere anche la paura di far emergere un proprio lato oscuro. E poi quella delle critiche, delle stroncatur­e. Ian McEwan a «la Lettura» ha detto che la scrittura è sempre qualcosa di intimo e non si può non prenderla sul personale se qualcuno ti dice: il tuo libro fa schifo.

Scrivere non mi fa nessuna paura. Per me comunicare è l’atto più naturale. Mi fanno più paura il silenzio, le persone che hanno sentito una sola storia, e attraverso quella rileggono il mondo. Per quanto riguarda le critiche, io non mi identifico in quello che faccio. Se uno mi dovesse dire che il mio libro gli

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