Corriere della Sera - La Lettura
L’anarchico romagnolo precursore di Bin Laden
Mario Buda, o Mike Boda, come americanizzò nome e co g n o me, e migrò n e l 1907 da Savignano sul Rubicone negli Stati Uniti a bordo della Regina d’Italia, un bastimento salpato da Genova alla volta di New York, un mese in balia delle onde prima di sbarcare a Ellis Island, e certo non poteva pensare che da un paesino quieto della Romagna presto sarebbe entrato da protagonista nel fuoco della storia. Come in ogni copione dell’emigrante, come per il milione di italiani che sbarcarono quell’anno nella Merica, arrivò spaesato a Little Italy, dove visse in miseria e d’espedienti vagabondando e dormendo per strada. Fu grazie all’aiuto dello zio Frank che trovò un posto da operaio a Roxbury, periferia di Boston, in una fabbrica di cappelli, la Stetson Brothers Leather. Arrivato a sostituire un operaio morto in modo cruento, inghiottito dalla macchina, lavorò alla catena di montaggio scoprendo l’inferno della fabbrica fordista.
Più tardi, frequentò altri romagnoli, molti dei quali anarchici radicali pronti a tutto per rivoltare il sistema, e seguaci come lui dell’ideologo Luigi Galleani, fondatore di «Cronaca sovversiva», insurrezionalista che teorizzava il sabotaggio e l’attacco sistematico allo Stato e al capitale. Anarchici come Gaetano Bresci, che, prima di tornare in Italia e uccidere nel 1900 Umberto I di Savoia, visse a Paterson, dove su diecimila italiani un quarto erano di quella fede politica.
Di questo mondo sovversivo e della temperie di un’epoca, compresa una pagina interessante dell’emigrazione italiana negli Stati Uniti, parla un romanzo polifonico di Matteo Cavezzali, Nero d’inferno (Mondadori), un ibrido riuscito che mescola referto storico, racconto dal vero, invenzione romanzesca dentro una narrazione corale, con voci di gente comune e personaggi della storia come Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, Cesare Lombroso, Emilio Lussu, le presunte verità di spie, poliziotti come il capitano William J. Flynn, gli uomini del Ku Klux Klan, sociologi, cronisti come William Sinclair del «Boston Herald».
Proprio l’anno in cui Buda emigrò, a Monongah, nel West Virginia, la «Marcinelle americana», una serie di esplosioni nelle miniere uccise 171 italiani, molisani e abruzzesi in maggioranza, che lavoravano nel sottosuolo in condizioni disumane. Gli italiani per sopravvivere a quei tempi facevano i mestieri di strada, lo spazzacamino, il limonaro, il lustrascarpe, i bambini disertavano la scuola per aiutare i genitori, tarmati da morbillo, tisi e tubercolosi, lavoravano come schiavi nei campi, nei cantieri edili o come boscaioli, dieci ore di manodopera per un salario di 5 dollari. Nel rapporto sull’immigrazione del 1911 si trova scritto: «Ho visto al loro sbarco gli immigrati italiani essere accolti da un padrone che li metteva in riga, li prendeva a calci, li frustava come bestiame e infine li conduceva via come mandrie al macello, fino ai quartieri di destinazione dove venivano prestati per lavori davvero sottopagati».
L’ i ncontro di Buda con l ’ i nfl uente ideologo riaccende la sua fiaccola, quello che chiama «il fuoco dentro»: «Ero stato anarchico fin da ragazzo, ma solo dopo avere conosciuto Galleani avevo capito cosa significasse veramente. Da noi in Romagna dovevi prendere posizione. O eri socialista o repubblicano o anarchico, altrimenti stavi dalla parte dei signori, del papa e del re. Per me essere anarchico era far parte di una banda, non avevo mai letto Bakunin, finché Galleani non mi regalò la mia prima copia di Stato e anarchia », gli fa dire Cavezzali, che ricostruisce la sua vicenda dalle fonti storiche.
Insieme al suo amico Carlo Valdinoci organizza la lotta di classe e il sabotaggio, le rapine, aizzando gli operai miserabili contro i ricchi padroni, quelli che a «Wall Street fanno soldi che puzzano come il letame», viene licenziato e diventa a tutti gli effetti un rivoluzionario a tempo pieno. A Boston nel 1917 conosce Bartolomeo Vanzetti, con «i baffi ispidi come Zapata», si spostano insieme a Monterey in Messico per evitare la leva obbligatoria, uno impiegato in una lavanderia e l’altro in un forno. Dopo il richiamo alle armi anche per gli italiani, e i rimpatri forzati, gli anarchici più estremisti spediscono pacchi bomba a giudici della Corte Suprema, giornalisti, al governatore del Mississippi Bilbo, al commissario per l’immigrazione, l’italoamericano Caminetti, e anche al milionario Rockefeller.
Tornato negli Usa, nel novembre 1917, Mike Boda fa esplodere una bomba nella sede della polizia di Milwaukee, dove perdono la vita 10 agenti e una donna. Nel 1918, durante il periodo del Red Scare («paura rossa», conseguente alla rivoluzione bolscevica), che coinvolse anche immigrati greci, irlandesi, polacchi, ebrei, fu varata l’Anarchist Exclusion Act, la legge che vietava l’ingresso nel territorio statunitense a persone sospettate di essere sovversive, che restò in vigore fino al 1952. Il 2 giugno 1919 esplosero in cont e mpo r a n e a o r d i g n i d i n a mi t a r d i a Washington, Boston, New York, Paterson, Philadelphia, Pittsburgh e Cleveland, bombe fatte di 11 chili di dinamite. Su ogni ordigno c’era un volantino rosa