Corriere della Sera - La Lettura
La nostra guerra al Covid prepara la lotta ai 200 tumori
nel 2011 ha vinto il Nobel per la Medicina per gli studi sulla risposta immunitaria. Per l’edizione 2020 del premio Balzan, che ricevette nel 2007, terrà una «lectio magistralis» a Milano. «La Lettura» gli ha chiesto un parere sulla pandemia: conferma che le donne sono più resistenti (merito forse degli ormoni), guarda con interesse agli interferoni (le proteine che intervengono sulle cellule attaccate dal virus) e, poiché è ottimista, invita a proiettarsi sul dopo
Per l’immunologo Jules Hoffmann la chiamata da Stoccolma è arrivata nel 2011. Lussemburghese di nascita, ha studiato ed effettuato ricerche presso l’Università di Strasburgo, in Francia, dove nel 1996 ha dimostrato il ruolo di alcuni geni nella regolazione della risposta immunitaria innata del moscerino della frutta, la celebre Drosophila. Insieme ai suoi collaboratori ha migliorato le nostre conoscenze sul sistema immunitario innato che, presente tanto negli esseri umani quanto negli altri organismi pluricellulari, costituisce la prima linea di difesa del corpo contro le infezioni di possibili patogeni come batteri e virus. Homo sapiens e altri vertebrati sono dotati anche di un sistema più specifico, detto adattativo, che consente una protezione a lungo termine ed è il meccanismo su cui i vaccini fondano la loro efficacia.
Jules Hoffmann oggi è direttore emerito del Cnrs, il Centro nazionale di ricerca scientifica francese. Oltre al Nobel per la Fisiologia e la Medicina, vinto assieme ai colleghi Bruce Beutler e Ralph Steinman, le sue ricerche gli sono valse anche il prestigioso premio Balzan nel 2007. In occasione dell’edizione 2020 di questo riconoscimento scientifico e culturale, in programma a Milano lunedì 14 settembre, il professore terrà una lectio magistralis intitolata Le pandemie nella storia umana alla luce del Covid-19.
Professore, in Italia e in diversi altri Paesi europei i nuovi casi di Covid-19 sono in crescita. Stiamo assistendo all’inizio della seconda ondata?
«Sono in contatto con diversi colleghi direttamente coinvolti. Oggi è evidente che la situazione è diversa da quella dei primi mesi della pandemia. A essere colpite sono per lo più persone giovani, che tendono a rispettare meno le regole sul distanziamento sociale. Inoltre, i casi che necessitano di ricovero ospedaliero sono in numero minore rispetto a prima, così come è ridotto il numero delle persone in terapia intensiva e il numero delle vittime. Sono cifre che non possiamo paragonare a quelle della scorsa primavera. Non la chiamerei quindi seconda ondata. Il virus è comunque presente e ritengo lo sarà fino a quando non troveremo un vaccino».
In queste settimane le scuole italiane stanno riaprendo dopo sei mesi di chiusura. È vero che bambini e giovani hanno meno probabilità di ammalarsi?
«I giovani spesso pensano, erroneamente, di essere protetti. Non lo sono, ma sono meno sensibili all’infezione. Il nostro sistema immunitario invecchia, come tutto il nostro corpo: invecchiano i tessuti e invecchiano i meccanismi fisiologici. Si potrebbe quindi sostenere che nei giovani il sistema immunitario sia più forte. È possibile ma non lo sappiamo con certezza. Ed è anche possibile che le cause siano più di una. Bisogna anche tenere presente che nel mondo circolano altri coronavirus, che causano lievi disturbi, riniti per lo più, e che inducono comunque la produzione di anticorpi. Per cui è possibile che alcuni soggetti abbiano sviluppato una resistenza perché in passato sono stati infettati da altri coronavirus: in gergo tecnico si chiama cross-reattività. In più, pare sia molto importante il ruolo della risposta interferonica».
Di che cosa si tratta?
«Quando un virus entra nel corpo umano, le nostre difese reagiscono all’infezione. All’inizio si attiva il sistema immunitario innato, che non è specifico. Agisce tramite il sistema degli interferoni, proteine in grado di regolare l’attivazione di centinaia di geni e “interferire” con il ciclo vitale delle cellule attaccate dal virus. Se questa risposta non è abbastanza intensa, il virus riesce a riprodursi nel nostro corpo. Se invece è sufficientemente intensa, le persone non si ammalano. Uno degli interrogativi che oggi vengono rivolti più spesso agli esperti è il seguente: perché alcune persone sembrano essere più resistenti di altre? Lo dico con molta cautela: è possibile che queste persone siano in grado di sviluppare una forte risposta interferonica».
Dai dati che abbiamo pare che le donne siano più resistenti degli uomini a Sars-Cov-2.
«Sì, anche se la differenza non è molto marcata. È probabilmente dovuta a una questione ormonale».
Oggi sappiamo qualcosa in più sulla possibilità che una persona guarita possa essere infettata nuovamente da questo virus?
«Anche in questo caso è troppo presto per dirlo con certezza, nonostante ci sia