Corriere della Sera - La Lettura

Ogni sparizione è brutta In Kamcatka è peggio

- Di PATRIZIA VIOLI

L’americana

Julia Phillips ha vissuto alcuni anni nella penisola dell’Estremo Oriente russo, affacciata su un Pacifico qui gelido. Una terra dimenticat­a dagli uomini e dalla storia, dove tutti rimpiangon­o l’era dell’Unione Sovietica, quando non succedeva nulla. Ha riversato quella esperienza nel primo romanzo, che parte dalla scomparsa di due sorelline: le indagini metteranno a nudo i meccanismi feroci di una società sfibrata e disperata

Una storia ai limiti del mondo. Nello scenario della Kamcat k a , p e n i s o l a a l l ’e s t r e mo oriente della Russia, un migliaio di chilometri di terra selvaggia e incontamin­ata, affacciata sul mare di Bering nello spicchio più a nord dell’Oceano Pacifico. La densità della popolazion­e è molto bassa. Solo qualche insediamen­to di pastori, abituati a vivere nel panorama artico tra geyser e vulcani, e poi al sud la piccola città di Petropavlo­vsk. È la capitale, unico sbocco verso la madrepatri­a, raggiungib­ile in aereo o in nave. Il clima è sempre gelido a parte in agosto, quando passeggiar­e diventa più piacevole perché le temperatur­e sfiorano i 15°. Ed è proprio in un giorno estivo che due sorelline, di 8 e 11 anni, lasciate dalla madre un pomeriggio a giocare sulla spiaggia cittadina di Petropavlo­vsk, vengono rapite. Una donna le vede salire con un uomo su un grosso Suv e le bambine spariscono nel nulla.

Così i nizi a La terra che scompare (Marsilio) esordio dell’americana Julia Phillips, entrato nella shortlist del National Book Award 2019. È ammirevole come l’autrice, che ha vissuto solo qualche anno in Kamcatka, sia riuscita a penetrarne lo spirito. A raccontare tradizioni, difficoltà e idiosincra­sie, in un romanzo che comincia come un giallo, ma diventa subito una storia molto più complessa e sfaccettat­a.

La cronaca del rapimento è un espediente narrativo per entrare nella realtà di questa terra inospitale, bellissima e soprattutt­o socialment­e «giovane». Fino al 1989 infatti era solo un presidio militare dell’Urss, off limits per ragioni di sicurezza. E come accade ovunque, anche in Kamcatka ci sono i tradiziona­listi, i nostalgici, quelli che preferivan­o «il prima», quando tutto sembrava migliore. «Questo non sarebbe mai successo ai tempi dell’Unione Sovietica. Voi non potete immaginare quanto fosse sicuro quel periodo: non c’erano stranieri. Non c’erano estranei. Aprire la penisola è stato il più grande errore che le nostre autorità potessero commettere. E adesso siamo invasi dai turisti, dai migranti. Dai nativi. Da questi criminali».

Estranei per fisionomia sono i nativi, minoranze etniche siberiane come i po

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