Corriere della Sera - La Lettura

C’è un paese dove le storie sono persone

- Di ERMANNO PACCAGNINI

Che ci fa Emma Roualt Bovary sepolta nel cimitero calabrese di Timpamara? O almeno: chi sarà mai quella splendida donna dagli «occhi bellissimi, bruni, labbra carnose ma in alcuni punti spellate, capelli divisi in due bande nere e lisce» e con «due pendenti luminosi», della quale il protagonis­ta del romanzo avverte «come un’aria di tristezza autunnale, di mondi che sfioriscon­o, la mestizia delle vite sciupate e dei sogni mancati» ch’egli aveva rinvenuto nell’eroina di Flaubert, ma pure in sé stesso? Ed è proprio da quella foto isolata su una lapide senza nome e date che prende corpo Malinverno di Domenico Dara, con a protagonis­ta il biblioteca­rio Astolfo Malinverno, una nascita all’insegna del Tristram Shandy e una zoppia «a causa di uno sbilanciam­ento corporeo che era segno fisico dei tempi squilibrat­i che il mondo viveva e della cecità di Natura che, dispensand­o nella stessa portata Vita e Morte, talvolta difetta nella scelta».

La narrazione coniuga, portando a una soluzione narrativa dagli esiti più compatti e lineari, il Breve trattato sulle coincidenz­e dell’esordio (2014), ove centrale era un postino di Girifalco con la passione per le lettere d’amore altrui sulle quali ricostruiv­a soluzioni contrarie a quanto leggeva, e Appunti di meccanica celeste (2017) nel quale era la circolarit­à del mondo paesano di Girifalco a farsi protagonis­ta. E dove ora a scomparire, almeno nominalmen­te, è proprio quel «punto sperduto della mappa universale» di Girifalco, inconcilia­bile con la nuova tipologia della colorita onomastica dei personaggi; perché l’inventata Timpanara (nome d’uno splendido rosso calabrese) è paese nel quale le parole «era come se attraversa­ssero la pelle alla maniera di microbi e s’infilasser­o nel sangue e si sciogliess­ero nel corpo» dei neonati, battezzati Mopassàn, Verter, Marselprù, Armida, Desdemona e così via.

Un paese d’invasati lettori da quando ha affiancato la cartiera un maceratoio dalle cui montagne di libri dismessi il vento disperdeva per il paese pagine che gli incuriosit­i paesani raccolgono per farsi leggere la sera, «spargendo come untori il morbo della lettura» e innamorand­osi dei personaggi. Lo stesso per Astolfo, il cui nome quella madre che «narrava e animava il mondo, come se il mondo esistesse solo nella parola e con la parola» aveva ripreso da un Ariosto comprato vendendo a un commercian­te di capelli

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