Corriere della Sera - La Lettura
Il cuore di Rowling batte con Voldemort
Il libro più «anziano» in classifica è Il piccolo principe del 1943 (settantasette anni). Seguono Se questo è un uomo (settantatré), 1984 (settantuno), Il giovane Holden (sessantanove), Il buio oltre la siepe (sessanta). Poi, per i long seller, comincia l’Era Rowling (dal 1997) in classifica con tutti gli Harry Potter (a parte I doni della morte, che, però, incalza). La camera dei segreti, il secondo della saga, non è tra gli amatissimi dai fan del personaggio. Come tutti i secondi libri, era il più difficile da fare. Salman Rushdie, che di romanzi ne capisce, ha notato che certe volte Harry e i suoi amici traccheggiano senza aver chiaro come devono procedere. È vero (ma accade anche a Beckett in Aspettando Godot). La cosa più importante è che, nella Camera dei segreti, Harry comincia a diventare grande e comincia a diventare grande anche la sua autrice. A Harry succede nel dialogo finale con Albus
Silente. Il ragazzo chiede: «Voldemort ha messo un pezzetto di sé dentro di me?». Il vecchio sapiente risponde: «Si direbbe proprio di sì». La crescita di J. K. Rowling (valorosamente in lotta, tra l’altro, contro le scie chimiche della stupidità contemporanea) è legata a una frase famosa di Graham Greene: «Gli scrittori devono avere una scheggia di ghiaccio nel cuore». Lei ha scoperto la sua, forse in parallelo con l’innesto della scheggia di Voldemort dentro il giovane Harry. La scena cruenta, simbolica e fatale che riassume tutto è questa: «Poi, d’istinto, senza riflettere, come se non avesse avuto altro in mente da sempre, Harry afferrò da terra la zanna del Basilisco e la conficcò nel cuore del libro. Si udì un grido prolungato, terribile, penetrante. L’inchiostro sgorgò dal diario a fiotti, sulle mani di Harry, inondando il pavimento…». Grande letteratura. Ha ragione Stephen King: «J. K. Rowling è una scrittrice pazzesca» mentre Stephenie Meyer (l’autrice di Twilight), per dirne una, «non vale un fico secco».