Corriere della Sera - La Lettura

I nostri viaggi ai confini del mondo «Lì dove fa male»

- Di ALESSANDRA COPPOLA

Samanta Schweblin e Pablo Ernesto Piovano non si conoscono di persona, ma hanno molto in comune. L’origine argentina, certo; la stessa generazion­e spersa. Ma soprattutt­o una sensibilit­à che ha portato entrambi, da percorsi e con mezzi diversi, negli stessi luoghi lontani e disturbant­i: «Lì dove fa male».

La prima è una scrittrice, ha 42 anni, vive a Berlino e un Premio Nobel per la Letteratur­a poco ciarliero come il sudafrican­o J. M. Coetzee consiglia la lettura dei suoi romanzi, tradotti ormai in ogni lingua possibile, dal macedone all’ebraico. Dallo schermo del pc, Schweblin incassa la testa tra le spalle e si schermisce: «Non vanno a me i compliment­i, ma ai libri». Sarà al Festival Babel di Bellinzona.

Il secondo è un fotografo, ha compiuto 39 anni il giorno in cui si è collegato via Skype con «la Lettura», confinato nel suo appartamen­to di Buenos Aires — era riuscito a procurarsi una torta e sarebbe andato di lì a poco a condivider­la col papà. Ha vinto premi (tra cui un World Press Photo) e prestigios­e borse di studio; ha documentat­o a lungo i danni (piaghe, malformazi­oni, tumori) del glifosato e degli altri cocktail chimici impiegati in agricoltur­a. Ora il Festival della Fotografia Etica di Lodi mostra il suo lavoro — Il risveglio di voci antiche — nelle terre che i Mapuche contendono a Cile e Argentina.

Li abbiamo incontrati virtualmen­te, scrittrice e fotografo, in due momenti diversi della stessa giornata, su due distinti fusi orari, e — grazie a un’intesa spontanea — li abbiamo messi in dialogo.

Partiamo dal fondo. L’esperienza comune del confinamen­to per il coronaviru­s; la paura di un nemico nuovo e invisibile: come l’avevete vissuta, entrambi sorpresi lontano dai luoghi abituali di residenza?

Il lockdown mi ha colto nella settimana di marzo in cui avevo deciso di andare a trovare mia madre in un paesino sperduto all’estremo sud della Patagonia, Lago Puelo: ci sono rimasta quasi tre mesi. Mia madre vive in una casetta di legno piccolissi­ma, mi era difficile lavorare. Allora ho affittato una specie di fienile in fondo al lotto di un vicino, molto rudimental­e, e andavo lì tutti i giorni a scrivere. Per farlo dovevo attraversa­re l’aperta campagna, mucche, cavalli... Pensare che vivo a Berlino e che la settimana prima di partire ero stata a insegnare all’Università di Barcellona: mi sono all’improvviso ritrovata nel nulla, con la luce delle lanterne, a bere mate, sotto la pioggia, ogni tanto senza acqua e senza rifornimen­ti...

Quando hanno cominciato a chiudere le frontiere, io mi trovavo in Cile a seguire le rivolte popolari, in quel momento all’apice. Tutti i giorni manifestaz­ioni, in un miscuglio di Woodstock, per l’allegria, e di Rivoluzion­e francese. Ero immerso in tutto questo, quando ho capito che stavano bloccando i voli: ho preso l’ultimo per Buenos Aires.

Un c o n f i n a mento l u n g h i s s i mo, quello dell’Argentina, cominciato insieme con l’Europa e ancora rigidament­e in vigore.

C’è una grande differenza nella gestione del Covid tra Berlino e Buenos Aires. Innanzitut­to, l’Europa ha i soldi per risolvere la crisi sanitaria in modi diversi. In America Latina c’è un solo strumento: la quarantena, null’altro. L’Argentina ha cominciato presto e bene. Ma se in Europa la gran parte della gente può permetters­i il lusso di restare a casa, la gran parte dei latinoamer­icani se resta a casa non mangia: de

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy