Corriere della Sera - La Lettura
Voce del Labanof
L’anatomopatologa Cristina Cattaneo, autrice del libro Naufraghi senza volto (Raffaello Cortina, pp. 198, € 14), e il suo team di lavoro al Labanof (Laboratorio di Antropologia e Odontologia forense dell’Università di
Milano) che ricerca le identità di resti umani, sono il soggetto del podcast Labanof. Corpi senza nome dal fondo del Mediterraneo prodotto da Rai Radio3 e disponibile dal prossimo novembre.
Suo padre, racconta nel romanzo, è stato un grande sostenitore di Trump.
«Mio padre era innamorato della visione che Trump ha dell’America, un Paese senza confini, dove puoi fare ciò che vuoi, diventare chi vuoi. Spesso a spese di altri e senza pagarne le conseguenze. Non mi sono stupito quando il “New York Times” ha svelato le evasioni fiscali di Trump. È un imbroglione. È da sempre in mano ai suoi creditori».
Trump ha inasprito le ferite di una società votata al profitto?
«La nostra società è in crisi ma non soltanto per colpa di Trump. È una crisi frutto di decenni di legislazioni nocive che hanno messo la finanza al centro di tutto. La misura del successo in America sono i dollari. Monetizziamo tutto, dalla salute alle infrastrutture».
Pensa che Joe Biden, se eletto, possa cambiare le sorti di un Paese reduce da mesi di proteste e violenze della polizia, in particolare sugli afroamericani?
«Gli Stati Uniti sono un Paese diviso, c’è una frattura profonda tra aree rurali e centri urbani, tra le coste e il cuore dell’America. Ognuno ascolta e digerisce ciò che vuole. Viviamo in una realtà distorta perché riceviamo informazioni distorte. Non basta un nuovo presidente per aiutarci a guarire».
Suo padre è stato veramente il medico di Trump?
«Le rispondo con una frase di D. H. Lawrence: “Non fidarti del narratore. Fidati del racconto”. Non importa che il padre del romanzo assomigli in tutto e per tutto al mio vero padre. Voglio che i lettori si immergano nel libro e trovino le loro risposte, che vi scovino ciò che dà senso alle loro esistenze. Ho mescolato frammenti della mia biografia a fatti inventati perché è ciò che succede nel nostro mondo. È collassata la barriera tra realtà e immaginazione».
Il protagonista del libro è uno scrittore di successo, i cui genitori hanno scommesso su una vita migliore in un nuovo Paese. Ha narrato il raggiungimento del sogno americano?
«La domanda di fondo è che cos’abbia portato quelle persone, e i miei genitori negli anni Sessanta, in questo Paese. È uno dei nodi essenziali della storia, a cui ritorno spesso nel corso del romanzo. La risposta è sempre la stessa: i dollari. Il sogno americano era sinonimo di prosperità, di arricchimento senza limiti. Il prezzo di questo sogno è da rintracciare nelle conseguenze che ha avuto sui nostri valori morali».
Il romanzo si apre e si chiude con la professoressa Mary Moroni, ispirata a un’insegnante di nome Mary Cappello che ha avuto da ragazzo...
«Questo libro è una lettera d’amore a una professoressa. Mary Moroni è una guida, un incoraggiamento a scavare a fondo, ad approfondire la nostra realtà, a informarsi e studiare».
È vero che legge un sonetto di Shakespeare ogni mattina, appena sveglio?
«Leggere Shakespeare è come bere una tazza di caffé, mi aiuta a cominciare la giornata nel modo giusto. Nessuno ha indagato la condizione umana così tanto in profondità come ha fatto Shakespeare nelle sue opere».
Un altro dei suoi eroi letterari è Salman Rushdie...
«Ho letto I versi satanici a 18 anni. Era la prima volta che incontravo la metafiction, il realismo magico. Quel libro parlava anche della mia eredità culturale, delle mie radici. Mi ha sconvolto».
A chi sono rivolte le elegie del titolo?
«A tutto ciò che posso considerare patria. La patria dei miei genitori, entrambi scomparsi, e la patria in cui sono cresciuto. Ho scritto elegie a un’America che non esiste più».
Nell’overture, tuttavia, scrive che l’America è la negazione del concetto di vecchiaia e di morte.
«Il Nuovo Mondo era un sogno di rinnovamento. Un sogno che scommetteva sulla vita e non riconosceva antenati, viveva del presente. Noi non abbiamo alcun interesse nella morte, come nel Vecchio Mondo. Non ci interessa accompagnare chi muore nei suoi ultimi istanti. L’America è la terra dei viventi».