Corriere della Sera - La Lettura

Maestro liberale o tecnocrate Il ’900 di Platone

- conversazi­one di MAURO BONAZZI con FRANCISCO GONZALEZ

Tra i classici più attuali, l’autore della «Repubblica» occupa un ruolo centrale, come si evince dal libro curato da Mauro Bonazzi e Raffaella Colombo «Sotto il segno di Platone» (Carocci), che si sofferma sulla ricezione del filosofo nella Germania del XX secolo, dunque anche nella Germania nazista. Bonazzi ne ha discusso con l’americano Francisco Gonzalez, docente all’Università di Ottawa, Canada, e specialist­a dei rapporti tra Platone e Heidegger.

MAURO BONAZZI — Può sembrare sorprenden­te, ma il Novecento è un secolo platonico, filosofica­mente e politicame­nte, nel bene e nel male. Da Martin Heidegger a Michel Foucault, da Hannah Arendt a Karl Popper, Platone è una presenza controvers­a con cui tutti sentono l’esigenza di fare i conti. Davvero, come dice Gilles Deleuze, il compito del pensiero contempora­neo è «rovesciare il platonismo»? E le sue idee politiche?

FRANCISCO GONZALEZ — Di certo rimane anche una presenza attuale. C’è ad esempio qualcosa di profetico nelle pagine della Repubblica in cui descrive come una democrazia può implodere, suicidando­si nel momento in cui si affida al tiranno, all’uomo forte diremmo noi. Si eclissa ogni idea di bene comune, mentre la rivendicaz­ione della propria libertà — della legittimit­à di perseguire il proprio interesse senza curarsi degli altri — si accompagna paradossal­mente a un asservimen­to completo al leader del momento, seguito ciecamente.

MAURO BONAZZI — Platone però scriveva da avversario della democrazia, e questo solleva il problema della sua compatibil­ità con i valori delle nostre società democratic­he e liberali. Era il problema posto da Popper: Platone ha dominato la prima metà del secolo scorso, è stato fonte di ispirazion­e per i regimi totalitari — è noto quanto fosse importante per i nazisti, tanto per fare l’esempio più clamoroso. Ne abbiamo ancora bisogno, oggi?

FRANCISCO GONZALEZ — Tutto dipende da come si legge Platone. Non penso che molti, oggi, prestino credito a letture come quelle di Popper, quando faceva di Platone una specie di precursore del fascismo. Nella Repubblica non c’è nessuna fascinazio­ne per l’uomo forte — a colpire sono semmai la consapevol­ezza del ruolo giocato dal caso nella storia umana e la riflession­e sulla fragilità delle istituzion­i politiche. La costruzion­e di una società giusta è un processo mai interament­e sotto controllo, sempre esposto al rischio dell’insuccesso. Vale per la democrazia come per gli altri sistemi politici. Persino la città perfetta, sempre che possa essere realizzata, prima o poi incorrerà in errori che la porteranno alla rovina. Il problema è allora come arginare questo inevitabil­e processo di degradazio­ne. È il nostro problema, appunto.

MAURO BONAZZI — Ma questa era proprio la tesi di Popper! Timoroso dei cambiament­i, sempre visti come negativi, Platone avrebbe per primo teorizzato la società chiusa, cercando di congelare il mondo degli uomini, fuggendo dalle complessit­à della nostra vita associata.

FRANCISCO GONZALEZ — Di nuovo non sono d’accordo: Platone non era così pessimista. È consapevol­e della precarietà del mondo umano e delle sue istituzion­i, ma non per questo si chiude nel sogno di un impossibil­e ritorno al passato. Non si spieghereb­be altrimenti l’importanza che riserva all’educazione: questo è il vero tema della Repubblica, non la costruzion­e di uno Stato ideale o di una società perfetta. La sola soluzione, o l’unico argine, è assicurars­i che chi arriva al potere si occupi dell’interesse comune. Pensiamo ai viaggi a Siracusa, di cui parla nella Settima lettera: Platone accetta di andarci non perché sogni di conquistar­e il potere o fondare chissà quale città perfetta, ma perché c’è un sovrano, Dionisio, interessat­o alla filosofia — si apre dunque una finestra per il dialogo tra filosofo e governante nel tentativo di elaborare «leggi migliori», come scrive, leggi cioè che possano contribuir­e al benessere della comunità. Nel momento in cui si rende conto che non è così, l’esperienza può dirsi conclusa, e Platone riprende mestamente la strada per Atene.

MAURO BONAZZI — Leo Strauss, un altro lettore novecentes­co, non si sarebbe stupito. Politica e filosofia seguono strade diverse, che non s’incrociano — e se s’incrociano non producono niente di buono, come mostra il caso di Socrate. Non racconta questo il mito della caverna? Qualcuno, il filosofo, è riuscito a liberarsi dalle catene dei pregiudizi e ha raggiunto il luogo della verità. Perché dovrebbe rientrare nella caverna, visto che lui non vuole e i prigionier­i non vogliono lui? Ci aveva provato appunto Socrate, e si sa come è finita... Forse è meglio che il filosofo non si mischi troppo con il potere, e continui con le sue ricerche.

FRANCISCO GONZALEZ — Una filosofia isolata dal mondo avrebbe senso? Siamo tutti sulla stessa barca (non è Pascal ma, di nuovo, la Repubblica), e dobbiamo impegnarci perché la navigazion­e si svolga nel modo migliore. Alternativ­e non ce ne sono. Non si tratta per il filosofo di ambire al potere o a ergersi a guida del popolo: piuttosto deve lavorare perché maturi una consapevol­ezza di cosa significhi stare insieme. Quando torna nella caverna il filosofo non vuole diventare un tiranno, ma aiutare gli altri a capire, portare un po’ di chiarezza. È pericoloso, ma necessario. Platone ci crede.

MAURO BONAZZI — Insomma, la vera politica è l’educazione. È un’idea che ha solleticat­o anche Heidegger, quando accettò di divenire rettore a Friburgo, per creare una nuova università nazista.

FRANCISCO GONZALEZ — Si racconta che Wolfgang Schadewald­t, grande studioso della tragedia greca e nazista della prima ora, quando incontrò Heidegger dopo che costui aveva appena rinunciato all’incarico (Heidegger rimase rettore meno di un anno) gli avesse chiesto ironicamen­te: «Di ritorno da Siracusa?». C’è un’idea diffusa tra gli studiosi di Heidegger, difesa anche da alcuni suoi allievi: che la sua decisione di entrare in politica sia la conseguenz­a del suo confronto con Platone , che sia stata la vocazione politica di Platone, insomma, ad aver esercitato un’influenza corruttric­e su Heidegger.

MAURO BONAZZI — Heidegger, la volpe che s’infila da solo nelle trappole, come avrebbe scritto Hannah Arendt. Rimane comunque che in quegli anni Heidegger lavora intensamen­te sulla Repubblica di Platone, dedicando molte lezioni proprio al mito della caverna, adottando un linguaggio che ricalca in modo inquietant­e la propaganda nazista.

FRANCISCO GONZALEZ — Ma Platone davvero pensava di essere in possesso della verità o ha mai preteso di mettersi alla guida del popolo? La filosofia è un desiderio di conoscenza o sapienza, e il desiderio è sempre di ciò che non si ha. La filosofia è un’aspirazion­e, una ricerca; non un possesso. Pretendere di essere in possesso della verità è il contrario della filosofia! Difficile, dunque, che il filo-sofo (il trattino, qui, è d’obbligo) voglia ergersi a guida assoluta. Per questo invece il dialogo è così importante. La scommessa di Platone è quella dell’esistenza del bene; la filosofia difficilme­nte potrà arrivare a una comprensio­ne piena ed esaustiva di questo bene, ma la sfida è comunque quella di poter risvegliar­e den

tro ciascuno di noi la consapevol­ezza della sua esistenza. Non è poco.

MAURO BONAZZI — È il contrario della battuta di Fëdor Dostoevski­j: «Se Dio non esiste, tutto è permesso».

FRANCISCO GONZALEZ — La coscienza del bene, o della giustizia, c’impegna: se il bene esiste, lo dobbiamo cercare, se vogliamo vivere una vita buona. E siccome nessuno lo possiede mai veramente, la ricerca dovrà sempre essere uno sforzo comune, nel tentativo di avvicinars­i quanto più possibile alla verità.

MAURO BONAZZI — Diciamo che è un Platone ben diverso da quello a cui allude Heidegger nel discorso del Rettorato, alla guida della sua comunità in mezzo alla tempesta e alla battaglia, pronti alla chiamata del destino (tutti termini che giocano in modo sinistro con la retorica nazis t a ) . Lo a ve s s e l et to meglio, Pl a to ne avrebbe potuto magari salvarlo — altro che influenza corruttric­e! FRANCISCO GONZALEZ — Heidegger in parte lo riconosce, in alcune lettere alla moglie negli anni Cinquanta, in cui annuncia l’intenzione di scrivere un libro su Platone, proponendo una nuova interpreta­zione. Peccato non lo abbia fatto.

MAURO BONAZZI — Curiosamen­te questa lettura di Platone ricorda invece alcune tesi di Arendt. Solo che lei queste idee le ricava da Socrate, non da Platone. Soprattutt­o in area anglo-americana, la nuova attenzione per Socrate non è casuale: dopo la Seconda guerra mondiale, la necessità di riflettere su quello che è successo, di capire perché l’Europa sia potuta sprofondar­e tanto in basso, si traduce in un ritorno a Socrate (e Aristotele) contro Platone. È Socrate il modello del filosofo che indaga sé stesso e ha il coraggio di entrare nello spazio pubblico come coscienza critica (il tafano che pungola il cavallo addormenta­to), cercando di promuovere una riflession­e sui valori che devono fondare il vivere associato.

FRANCISCO GONZALEZ — Ma questo Socrate, Arendt non lo trova proprio nei dialoghi di Platone? Troppo spesso gli studiosi hanno voluto distinguer­e tra Socrate, il pensatore libero, e Platone, il cattivo maestro. Il Socrate dei dialoghi, però, è pur sempre una costruzion­e platonica! Platone è sfuggente, discreto, bisogna imparare a leggerlo. Come ha fatto HansGeorg Gadamer, uno dei pochi a continuare a insistere sull’importanza della dimensione dialogica e aperta nella filosofia di Platone. E uno dei pochi, dunque, a rimanere consapevol­e dell’importanza del tema dell’educazione.

MAURO BONAZZI — Arendt non ha però tutti i torti quando accusa Platone di essere colui che ha sviluppato un modello tecnocrati­co di politica: solo gli esperti sanno cosa è bene e sono dunque legittimat­i a governare. Idee analoghe negli ultimi anni sono state proposte nel contesto di una critica della democrazia...

FRANCISCO GONZALEZ — Ma davvero un sistema democratic­o può fare a meno delle competenze? Trovare un equilibrio tra partecipaz­ione e competenza è il problema vitale di ogni democrazia. Lo si diceva prima: per Platone, a risultare davvero decisivo è proprio l’educazione dei governanti. È il tema di fondo di tutta la

Repubblica, ed è una questione che non possiamo eludere, oggi.

MAURO BONAZZI — Torniamo così al tema dell’educazione, che è in effetti un problema politico decisivo anche oggi. Intanto perché, come dicevamo prima, si sta perdendo del tutto un’idea condivisa di bene comune. Può esistere una comunità, un gruppo, una società se non si ritrova in un insieme di valori condivisi?

FRANCISCO GONZALEZ — Non voglio parlare troppo del mio Paese, ma è difficile resistere alla tentazione di osservare che questo è quanto sta accadendo negli Stati Uniti. Ancora peggio: non solo non ci riconoscia­mo negli stessi valori, ma crediamo a fatti differenti, come se vivessimo in realtà parallele, diverse le une dalle altre e non più comunicant­i.

MAURO BONAZZI — È un problema che inquieta anche Platone, nel Fedro, dove Socrate si paragona a Tifone, il mostro dalle cento teste che parlano lingue diverse. Descrive noi contempora­nei, bombardati da informazio­ni, notizie, discorsi, senza più filtri capaci di mettere ordine in questa massa di «voci» discordant­i. Tutto intorno a noi cerca di condiziona­rci, e il risultato è un rumore di fondo, una confusione in cui diventa quasi impossibil­e orientarsi. Un’educazione autentica, pensa Platone, non può consistere nell’aggiunta di un’altra voce che si pretende vera — tutti affermano di avere ragione, perché si dovrebbe credere a me? L’educazione non consisterà dunque nel dire agli altri cosa devono pensare, ma nell’insegnare agli altri a pensare, fiduciosi che investire nell’intelligen­za delle persone ripaga. Basterà?

FRANCISCO GONZALEZ — Per Platone niente è più importante di una vita dedicata alla ricerca del bene, esaminando sé stesso e gli altri. Penso abbia ragione. Ma il destino di Socrate insegna che moltissime persone non hanno scelto né sceglieran­no mai una simile vita. Platone era fiducioso circa le potenziali­tà dell’educazione, ma scettico circa la nostra natura. Speranza e fragilità: la politica è tutta qui.

Gli autori più importanti del Novecento, come Martin Heidegger e Hannah Arendt, non hanno mai smesso di riflettere sul pensiero del grande allievo di Socrate. Due studiosi si confrontan­o sull’attualità della sua concezione politica. Mauro Bonazzi: il filosofo ateniese temeva i cambiament­i e non amava la democrazia della polis greca, esposta alla degradazio­ne in tirannia, perché era convinto che soltanto gli esperti conoscono il bene e sono legittimat­i a governare Francisco Gonzalez: è sbagliato vedere nelle sue opere una tentazione totalitari­a.

Nella «Repubblica» non pretende di costruire uno Stato perfetto, ma cerca di indicare la via per educare i cittadini alla ricerca del bene attraverso uno sforzo comune, basato sul riconoscim­ento del fatto che nessuno possiede il monopolio della verità

 ??  ??
 ??  ?? ILLUSTRAZI­ONE DI FABIO DELVÒ
ILLUSTRAZI­ONE DI FABIO DELVÒ

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy