Corriere della Sera - La Lettura
La vita non fa magie Graham Swift sì
Destini Si intitola «Grandi illusioni» ma sono grandi delusioni quelle che racconta il nuovo, riuscito romanzo del più sottovalutato fra i migliori autori britannici. Due uomini e una donna: c’è un mistero nella storia di un terzetto d’illusionisti
Era l’agosto del 1959. Quella fu l’ultima estate degli spettacoli di intrattenimento, dei presentatori che conoscono le vecchie canzoni dei tempi di guerra, ballano e raccontano barzellette. E dei giochi di prestigio, che vanno fatti sempre in piena luce, altrimenti il pubblico capisce il trucco. In Inghilterra le cose vanno un po’ meglio, sono passati 15 anni dalla fine della guerra, 4 da quella dei razionamenti. Tra poco, gli inglesi lasceranno la costa del Sussex per la Costa del Sol o le spiagge italiane. E 4 ragazzi di Liverpool formeranno un gruppo musicale destinato ad avere un certo seguito. L’anno seguente nasceranno i Rolling Stones. Nel teatro in fondo al molo di Brighton va in scena un mondo che sta per finire.
Anche Grandi illusioni, nuovo romanzo di Graham Swift, è un c’era una volta, come lo fu il suo predecessore Un giorno di festa, che tra molti meriti ha avuto anche quello di rendere meno sconosciuto al pubblico italiano il più riservato degli scrittori inglesi contemporanei in odore di grandezza. «Un tempo, quando i ragazzi non erano ancora stati uccisi, e c’erano più cavalli che automobili...» era l’incipit di un racconto elegiaco che attraverso un semplice stacco temporale di 9 anni — i fatti si svolgevano nel 1915, la voce narrante ci parlava dal 1924 — ci portava in una sorta di Downton Abbey intimista, prima che arrivasse la Grande guerra.
Questo si apre invece con un trucco, appropriato per un libro che parla anche dell’arte della magia. Jack Robinson si appresta a salire sul palco con tutte le sue paure e i suoi fondati sospetti sul fatto che ormai alla gente non basti più l’avanspettacolo. E così il lettore è portato a pensare che Grandi illusioni sia la sua storia, fin dall’inizio segnata da una vena di malinconia e ricordi in agrodolce. Invece ben presto diviene il racconto di una vita e di un mistero, quello di Ronnie Deane, il migliore amico di Jack, nome d’arte il Grande Pablo, dovuto a un pappagallo che rappresenta i dolori di un’infanzia anch’essa perduta. Un figlio del West End londinese e della guerra, la seconda. Nel 1939, come accadde a una intera generazione, è un mezzo orfano che viene evacuato nel lontano Oxfordshire per salvarlo dai bombardamenti nazisti. Troverà due quasi genitori che lo ameranno come mai nessun altro, imparerà il mestiere del mago, ma tornerà indietro carico di rimpianto per l’Eden perduto e con un’identità per sempre irrisolta.
Quando Jack, che ha conosciuto durante gli anni da coscritto, lo invita a raggiungerlo a Brighton e a procurarsi una spalla femminile per i suoi numeri, il triangolo amoroso e umano si compone con l’arrivo di Evie, anch’essa segnata da un’infanzia di povertà e disagio. Ronnie e la sua promessa sposa, cui ha regalato un anello, che noi sappiamo fin da subito destinato a essere gettato in mare, diventano presto la grande attrazione. E proprio dopo la bellissima descrizione del loro numero, quasi un apologo sul potere dell’illusione, c’è il grande salto.
«Adesso Evie White ha settantacinque anni. È il 2009, non il 1959, quando per la prima volta aveva infilato al dito quell’anello di fidanzamento. Cinquant’anni! Lei guarda il proprio volto in uno specchio». Nella stessa casa «piena di cose ormai finite» dalla quale ci sta parlando, è appena morto suo marito. Che non era Ronnie, ma Jack, diventato attore di sitcom e di teatro, volto amato da una nazione intera. Sappiamo che è accaduto qualcosa, perché l’intero libro è cosparso di rimandi o indizi a un fatto che ha segnato i protagonisti. C’è stata un’uscita di scena, che non dev’essere per forza spiegata, perché forse una spiegazione non c’è. «Come possiamo avere avuto una vita e poi semplicemente averla scambiata per un’altra?», si chiede Ronnie, ed è la domanda più importante. Le Grandi illusioni sono quelle di tre persone obbligate a reinventarsi per salvare sé stesse, e dimostrano come questo processo di mutazione possa essere doloroso. Siamo figli soprattutto del nostro passato, e solo pochi riescono a darsi un futuro indipendentemente da quel che è stato.
Con Graham Swift sembra di ascoltare il racconto di fatti che si svolgono nella stanza accanto alla nostra, e di vederli attraverso una parete trasparente e che modifica lo sguardo mediante il rimpianto, il rimorso, una nostalgia consapevole e una costante sensazione di crepuscolo. Swift non scrive, sussurra. La sua opera è caratterizzata dal racconto di esistenze e di fatti ordinari, che grazie al suo filtro rivelano sempre una dimensione universale, e conducono alle grandi domande sui temi della vita di tutti. Grandi illusioni è una ennesima prova della sua incredibile tecnica da crooner. E quindi rappresenta anche la spiegazione del perché questo timido maestro sia così poco conosciuto da noi rispetto agli altri pesi massimi della letteratura inglese.
Nel famoso numero di «Granta» che nel 1983 elencava i venti migliori giovani romanzieri inglesi, c’era anche lui, insieme a Martin Amis, Ian McEwan, Julian Barnes, Salman Rushdie, tutti autori che da allora non hanno mai smesso di far parlare di sé, ottenendo uno status pubblico permanente. Swift è diverso. Scrive e parla a voce più bassa, con una prosa piena di pudore. È un uomo tranquillo e appartato, che rifugge dall’autofiction. Ogni tanto, qualche suo libro ottiene successo, solo per meriti propri. È accaduto di recente per Un giorno di festa, fu così per Il paese dell’acqua, il primo viaggio nel passato ambientato nella zona paludosa dei Fens e nei misteri di tre generazioni della stessa famiglia. Ultimo giro, vincitore del Booker Prize nel 1996, è invece il racconto della giornata di 4 uomini che devono disperdere le ceneri di un loro amico, un’altra riflessione sui rimpianti e sui tradimenti che esige la vita, raccontata in prima persona da 4 differenti personaggi, alla Faulkner.
Swift ha scritto altri libri importanti. Tra questi c’è La luce del giorno (2003), un piccolo capolavoro ambientato nel quartiere di Wimbledon, che con il pretesto del noir e della vicenda che lega un investigatore disilluso e una donna in carcere parla in realtà di come sia possibile esiliarsi dalla vita, costruendo una torre immaginaria nella quale rinchiudersi. Addirittura, Wish you were here (2011), altro gioiello che se vogliamo anticipa le cause della Brexit con la descrizione dello straniamento degli abitanti dei piccoli villaggi davanti alla globalizzazione, non è mai stato tradotto da noi. E lo stesso è avvenuto con England and other Stories
(2014), magnifica raccolta di racconti. In Italia la penombra è stata accentuata da una pubblicazione erratica. Swift non è mai stato di un solo editore. Prima Garzanti, poi Einaudi, dopo Feltrinelli, poi più niente. Fino a Neri Pozza, che accanto agli ultimi due romanzi ha rieditato col marchio Beat anche Il paese dell’acqua.
Ma la colpa è soprattutto di Swift. I suoi personaggi sono medici, barbieri, contadini, i suoi luoghi sono le nostre sicure e civilizzate periferie borghesi, che spesso diventano un limbo di anime perse nei loro desideri e nelle loro speranze tradite. Luoghi comuni per gente comune. «Mi piace pensare che potrei incontrarli all’angolo della strada», spiegò una volta. Non succedono mai cose eccezionali nei libri di Swift, come in gran parte delle nostre vicende terrene. E quando capitano dei colpi di scena, restano sullo sfondo, sono quasi un pretesto per descrivere nel profondo le pulsioni e i desideri che pochi di noi hanno il coraggio di confessare a sé stessi. Anche Grandi illusioni è un esempio perfetto della capacità che ha Swift di rivelare la poesia nascosta in ogni essere umano. Ed è questo che fa di lui un autore da scoprire a ogni costo. Uno scrittore eccezionale, per le nostre vite normali.