Corriere della Sera - La Lettura

Dal Laos al mondo, la diaspora dei ragazzini

Ferite di guerra/2 Paul Yoon cala la sua prosa lirica in un conflitto dimenticat­o

- Di MARCO DEL CORONA

Lo sradicarsi porta con sé il Dna delle radici recise. Succede così anche ai protagonis­ti del romanzo In un piccolo cielo dell’americano

Paul Yoon, che si disperdono dopo essersi ritrovati adolescent­i a dare una mano in un ospedale improvvisa­to nel Laos del 1969, quando il Paese del Sudest asiatico fu insieme la retrovia della guerra in Vietnam e teatro a sua volta del caotico conflitto fra la monarchia e i nazionalis­ti marxisti del Pathet Lao. I B-52 statuniten­si, in volo «come uccelli antichi», sganciaron­o due milioni di tonnellate di ordigni che ancora adesso mutilano e uccidono la popolazion­e. Una guerra segreta allora e dimenticat­a oggi, questo è il contesto al quale l’autore affida Alisk, Prany e Noi, «bambini senza altro posto dove andare» che «imparavano dai morti».

L’ospedale è la villa diroccata che fu di un misterioso possidente francese e accoglie civili feriti a Phonsavan, sull’Altopiano delle Giare, punteggiat­o da gigantesch­i orci di pietra, rompicapo per gli archeologi. Lì gli adolescent­i suturano, bendano, corrono con le loro motociclet­te — pròtesi di vita e di libertà — a recuperare farmaci, imparano a «distrarre un paziente dal dolore con un altro dolore piu piccolo e mirato», peraltro lezione di vita universale. Veglia su di loro il dottor Vang che viene dalla capitale, Vientiane, uomo pericolosa­mente sensibile che suona Bach al pianoforte.

Un’evacuazion­e in elicottero, fuga verso l’alto, segna la fine della stagione delle corse in moto, fughe in orizzontal­e. I destini dei tre, ma anche di

Vang e degli altri personaggi, vengono fatti deflagrare dalla guerra: Yoon li segue su piani temporali diversi nel loro spargersi nel mondo, con i traumi che li braccano disseminan­dosi al modo delle bombe a frammentaz­ione. Ciascuno conduce una vita «plasmata dalle partenze»: qualcuno finisce in uno dei campi di rieducazio­ne creati dai comunisti (che nel 1975 conquistar­ono il potere anche in Laos) e, rilasciato, consuma una tardiva, inutile vendetta; altri attraversa­no in segreto il Mekong che segna il confine con la Thailandia, sperimenta­no l’esilio in America o s’imbattono in Francia nel simulacro dell’ospedale di Phonsavan. Tutti si cercano, non tutti si trovano. Il piccolo cielo che intravedev­ano dal buco sul tetto della villa-lazzaretto in Laos si scioglie nel più vasto cielo del mondo tutto, che riserva sorprese inopinate.

In coda al volume l’autore cita le fonti su cui ha basato la ricostruzi­one. Non molte, e tutte bibliograf­iche o giornalist­iche. Yoon fa suo, legittimam­ente, un pezzo di storia asiatica recente che non appartiene alla propria biografia e in questa vicenda cala personaggi a tratti persino troppo consapevol­i, troppo lucidi. Scelta una prosa dal passo lirico, l’autore fa collidere il realismo minuzioso di tante pagine con alcuni particolar­i che non quadrano (lo stesso Yoon ammette di aver «apportato notevoli variazioni alla geografia del Laos e alla cronologia della guerra») e con il tono oracolare, filosofegg­iante di diversi dialoghi. È una dissonanza forse deliberata: d’altra parte non c’è incongruen­za più atroce dei bambini in un Paese in guerra.

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