Corriere della Sera - La Lettura

Il parco dell’infanzia diventa Spoon River

- Di ROBERTO GALAVERNI

Giampiero Neri non abbandona la vocazione lirica ma stavolta sviluppa davvero una storia (o più storie) dal tono lombardo e autobiogra­fico. Le figure di tempi lontani creano un flusso nel quale i vuoti contano quanto i pieni

La prima questione riguarda il genere: prosa o poesia in prosa? Pa r l i a mo d e l n u ovo l i b r o d i Giampiero Neri, il decano dei nostri poeti, uscito nella collana «Narratori» delle Edizioni Ares e intitolato Da un paese vicino. Ma è una questione che probabilme­nte conviene lasciare aperta. Da una parte, infatti, chi ha familiarit­à con la sua opera poetica potrà subito riconoscer­ne le modalità espressive più tipiche e consolidat­e, a partire appunto da una poesia in prosa estremamen­te severa e giudiziosa, in cui le reticenze, le lacune, il non detto, contano almeno quanto ciò che viene effettivam­ente dichiarato.

Dall’altra, tuttavia, è indubbio che in questo libro la connession­e tra i diversi componimen­ti, perfino il timido sviluppo di una storia (o di più storie diverse), costituisc­ano un fatto comunque nuovo per lo scrittore lombardo.

Neri rievoca qui con una certa organicità sia l’infanzia e la giovinezza trascorse a Erba (dov’è nato nel 1927) sia i ritorni nel paese d’orgine dopo il suo definitivo trasferime­nto a Milano nel secondo dopoguerra. Figure di familiari, amici, conoscenti, piccoli intrecci e accadiment­i privati, brevi spezzoni di dialogo che affiorano dalla memoria — di questo parlano le sessanta prose poetiche o, se si preferisce, brani in prosa di cui è composto il libro.

Tuttavia non bisogna pensare a un’architettu­ra compiutame­nte edificata. In Neri, come detto, i vuoti significan­o quanto i pieni. Queste scene e figure attestano sì la persistenz­a di ciò che ancora vive nel ricordo ma anche e soprattutt­o il sentimento della loro perdita. Lo sappiamo, infatti: ciò che resta, i frammenti, le sopravvive­nze memoriali, portano tanto più con sé il senso di ciò che manca, della consumazio­ne, della rovina. La casa e il giardino di via Mainoni, la zia Ester, il professor Fumagalli, il ragionier Confalonie­ri, il signor Barenghi, la Lola, Barabba, il cugino Sandro...

Uno dopo l’altro sbucano dal buio carichi di tempo e di polvere, come altrettant­e epifanie in negativo, in quanto la loro vita si rivela soltanto sul rovescio del nulla. E un po’ come le mummie del Dialogo di Federico Ruysch di Leopardi (un autore amatissimo da Neri, che da questo punto di vista è un lombardo piuttosto anomalo), possono parlare soltanto per un attimo, perché poi — è ben chiaro — sarà sempre e soltanto silenzio. Del resto, non è solo la memoria ma la vita stessa a essere così: «Negli anni del dopoguerra capitava di vedere la superstite di quella parentela, la marchesa Mainoni, camminare nella via privata col suo bastone da passeggio come un’ombra del passato, una sopravvive­nza incalzata dai tempi nuovi, che si attardava a sparire». Anche un piccolo apologo su una farfalla si conclude allo stesso modo: «Mi era rimasta sulle dita quella polvere colorata che protegge le ali».

Giuseppe Ungaretti lo chiamava «il sentimento del tempo», e certo pochi autori possiedono la capacità di farlo sentire quanto Neri. Si può dire anzi che il suo discorso proceda su due piani intrecciat­i ma non coincident­i: il tempo, appunto, e la storia. Ed è questa la storia degli uomini e dei loro singolari destini, delle riuscite e dei fallimenti, delle vittorie e delle sconfitte, di ciò che hanno fatto per scelta o che è capitato loro per sorte. Amori, amicizie, relazioni, strade, fortune, «tutto cambia». Ogni cosa si trova in una condizione d’incertezza e di provvisori­età c h e l ’o r mai l e g g e n d a r i a o c u l a te z z a espressiva di Neri — la precisione lessicale, la stringatez­za, quel suo procedere in apparenza impassibil­e che ricorda un referto giudiziari­o o qualche lemma di un dizionario di scienze naturali — non fa che rendere più eclatante. Del resto, in tanto rigore del dettato, l’incertezza riguarda anche e soprattutt­o la giustizia della storia, riguardo a cui, come ribadiscon­o tutti questi componimen­ti, non ci si può davvero pronunciar­e. La giustizia degli uomini è da ultimo insindacab­ile in Neri, come una specie di non luogo a procedere (lo si è detto: è un lombardo anomalo).

Di contro, è invece proprio al tempo che spetta, diciamo così, di mettere tutti in pari. Il tempo che fugge e che consuma è il vero protagonis­ta di queste vicende. Fin dall’inizio, con un procedimen­to evocativo che è tutto dalla parte della poesia, lo sguardo di chi scrive apre le porte della temporalit­à proprio come nel componimen­to d’apertura il bambino entra nel giardino della casa di famiglia. Soltanto che adesso, in quella lontananza che coincide col presente della scrittura, si è scoperto che quel giardino è in realtà un camposanto, un luogo di croci e di nomi scritti sulla pietra. Erba come Spoon River, insomma. Leggendo Da un paese vicino non possono non venire in mente le collinette, le tante voci e sassi col nome di Edgar Lee Masters. C’è anche una poesia in prosa, davvero poetica nella sua antipoesia, che sembra confermarl­o. È la numero 23: «È noto che i poeti sopportano malvolenti­eri che si parli d’altro, piuttosto che di loro stessi. Poco importa che ci sia spazio per tutti, la sola presenza di un altro, nome alieno, li infastidis­ce e li invoglia ad abbandonar­e il campo».

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