Corriere della Sera - La Lettura
Il parco dell’infanzia diventa Spoon River
Giampiero Neri non abbandona la vocazione lirica ma stavolta sviluppa davvero una storia (o più storie) dal tono lombardo e autobiografico. Le figure di tempi lontani creano un flusso nel quale i vuoti contano quanto i pieni
La prima questione riguarda il genere: prosa o poesia in prosa? Pa r l i a mo d e l n u ovo l i b r o d i Giampiero Neri, il decano dei nostri poeti, uscito nella collana «Narratori» delle Edizioni Ares e intitolato Da un paese vicino. Ma è una questione che probabilmente conviene lasciare aperta. Da una parte, infatti, chi ha familiarità con la sua opera poetica potrà subito riconoscerne le modalità espressive più tipiche e consolidate, a partire appunto da una poesia in prosa estremamente severa e giudiziosa, in cui le reticenze, le lacune, il non detto, contano almeno quanto ciò che viene effettivamente dichiarato.
Dall’altra, tuttavia, è indubbio che in questo libro la connessione tra i diversi componimenti, perfino il timido sviluppo di una storia (o di più storie diverse), costituiscano un fatto comunque nuovo per lo scrittore lombardo.
Neri rievoca qui con una certa organicità sia l’infanzia e la giovinezza trascorse a Erba (dov’è nato nel 1927) sia i ritorni nel paese d’orgine dopo il suo definitivo trasferimento a Milano nel secondo dopoguerra. Figure di familiari, amici, conoscenti, piccoli intrecci e accadimenti privati, brevi spezzoni di dialogo che affiorano dalla memoria — di questo parlano le sessanta prose poetiche o, se si preferisce, brani in prosa di cui è composto il libro.
Tuttavia non bisogna pensare a un’architettura compiutamente edificata. In Neri, come detto, i vuoti significano quanto i pieni. Queste scene e figure attestano sì la persistenza di ciò che ancora vive nel ricordo ma anche e soprattutto il sentimento della loro perdita. Lo sappiamo, infatti: ciò che resta, i frammenti, le sopravvivenze memoriali, portano tanto più con sé il senso di ciò che manca, della consumazione, della rovina. La casa e il giardino di via Mainoni, la zia Ester, il professor Fumagalli, il ragionier Confalonieri, il signor Barenghi, la Lola, Barabba, il cugino Sandro...
Uno dopo l’altro sbucano dal buio carichi di tempo e di polvere, come altrettante epifanie in negativo, in quanto la loro vita si rivela soltanto sul rovescio del nulla. E un po’ come le mummie del Dialogo di Federico Ruysch di Leopardi (un autore amatissimo da Neri, che da questo punto di vista è un lombardo piuttosto anomalo), possono parlare soltanto per un attimo, perché poi — è ben chiaro — sarà sempre e soltanto silenzio. Del resto, non è solo la memoria ma la vita stessa a essere così: «Negli anni del dopoguerra capitava di vedere la superstite di quella parentela, la marchesa Mainoni, camminare nella via privata col suo bastone da passeggio come un’ombra del passato, una sopravvivenza incalzata dai tempi nuovi, che si attardava a sparire». Anche un piccolo apologo su una farfalla si conclude allo stesso modo: «Mi era rimasta sulle dita quella polvere colorata che protegge le ali».
Giuseppe Ungaretti lo chiamava «il sentimento del tempo», e certo pochi autori possiedono la capacità di farlo sentire quanto Neri. Si può dire anzi che il suo discorso proceda su due piani intrecciati ma non coincidenti: il tempo, appunto, e la storia. Ed è questa la storia degli uomini e dei loro singolari destini, delle riuscite e dei fallimenti, delle vittorie e delle sconfitte, di ciò che hanno fatto per scelta o che è capitato loro per sorte. Amori, amicizie, relazioni, strade, fortune, «tutto cambia». Ogni cosa si trova in una condizione d’incertezza e di provvisorietà c h e l ’o r mai l e g g e n d a r i a o c u l a te z z a espressiva di Neri — la precisione lessicale, la stringatezza, quel suo procedere in apparenza impassibile che ricorda un referto giudiziario o qualche lemma di un dizionario di scienze naturali — non fa che rendere più eclatante. Del resto, in tanto rigore del dettato, l’incertezza riguarda anche e soprattutto la giustizia della storia, riguardo a cui, come ribadiscono tutti questi componimenti, non ci si può davvero pronunciare. La giustizia degli uomini è da ultimo insindacabile in Neri, come una specie di non luogo a procedere (lo si è detto: è un lombardo anomalo).
Di contro, è invece proprio al tempo che spetta, diciamo così, di mettere tutti in pari. Il tempo che fugge e che consuma è il vero protagonista di queste vicende. Fin dall’inizio, con un procedimento evocativo che è tutto dalla parte della poesia, lo sguardo di chi scrive apre le porte della temporalità proprio come nel componimento d’apertura il bambino entra nel giardino della casa di famiglia. Soltanto che adesso, in quella lontananza che coincide col presente della scrittura, si è scoperto che quel giardino è in realtà un camposanto, un luogo di croci e di nomi scritti sulla pietra. Erba come Spoon River, insomma. Leggendo Da un paese vicino non possono non venire in mente le collinette, le tante voci e sassi col nome di Edgar Lee Masters. C’è anche una poesia in prosa, davvero poetica nella sua antipoesia, che sembra confermarlo. È la numero 23: «È noto che i poeti sopportano malvolentieri che si parli d’altro, piuttosto che di loro stessi. Poco importa che ci sia spazio per tutti, la sola presenza di un altro, nome alieno, li infastidisce e li invoglia ad abbandonare il campo».