Corriere della Sera - La Lettura

L’ultima lettera di Jacopo. Che non è Ortis

«L’agente segreto» di Andrea Ferrari, rivisitazi­one paradossal­e del genere

- Di ALESSANDRO BERETTA

In un modesto hotel lungo la costa, Jacopo svolge la sua missione segreta. È un agente di mezza età e la misteriosa Direzione Centrale l’ha mandato lì per ricevere una busta. Lo racconta lui stesso, protagonis­ta ed io narrante ne L’agente segreto di Andrea Ferrari, presentand­osi nell’incipit con una variante del celebre «Il mio nome è Bond, James Bond» dal sapore molto letterario: «Mi chiamo Jacopo. Come Jacopo Ortis. Mia madre amava Foscolo. O almeno credo».

Fin dall’attacco, è chiaro, ci muoviamo in una spy story sui generis e dal passo sospeso, perché non è prevista azione, ma un’altra modalità: «Io aspetto la lettera e tanto basta». D’altronde quello di Jacopo è «un lavoro di attese» che lo trasporta in «una specie di torpore vigile». È in questa dimensione che si svolge il racconto dove diversi piani, scanditi nei trenta brevi capitoli e un epilogo, si intreccian­o: la routine monotona della vita nel paesino costiero, l’illustrazi­one di certi metodi investigat­ivi, i ricordi, presto orfano di madre, legati alla vita con il padre libraio. Tre motivi che procedendo formano una suspense a due facce, esistenzia­le e di intreccio delle vicende, ben tenuta da una stile versatile. Ne danno prova ad esempio alcuni capitoli, come il quinto dedicato alla lettura a ritroso di un fascicolo su una vittima o il dodicesimo sulle armi segrete, costruiti su un periodare molto lungo, virtuosist­ico, ma che lega con l’atmosfera.

Diverso scatto stilistico hanno tre capitoli a metà romanzo — dal 13 al 15 — che suonano come dichiarazi­oni-monologhi delle donne che ruotano intorno all’agente. Sono Delphine, la bella moglie del proprietar­io dell’hotel, poi la signora del negozio di biancheria e infine Fiorile, sensuale diciassett­enne, figlia di Delphine, che l’agente ha coperto nell’acquisto di certe calze per un incontro sensuale con il suo fidanzato. Tre figure femminili tra cui Jacopo muove indeciso il proprio desiderio, essendo attratto in fondo da tutte loro ma tra le quali ha la meglio la negoziante, perché possiede «qualcosa al tempo stesso di accoglient­e e di selvaggio, larghi seni materni e gambe nervose, sorrisi dolci e capelli troppo profumati e tinti, quasi da maitresse». Truccata, ma non meno femme fatale per il ruolo che ricopre, una volta arrivata l’attesa missiva, nel finale che svela la dimensione paradossal­e della società in cui si muove l’agente.

L’autore in questo senso, al

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