Corriere della Sera - La Lettura

Un muro pieno di buchi, un palcosceni­co disabitato

Giù il sipario sulla Biennale Teatro di Antonio Latella dedicata alla censura. Abbiamo visto otto spettacoli. Compreso quello che ha vinto

- Da una delle nostre inviate a Venezia LAURA ZANGARINI

Si è conclusa con l’assegnazio­ne della Targa per il miglior spettacolo a Leonardo Manzan (nella foto), 28 anni, regista e autore con Rocco Placidi di Glory Wall (dal 13 al 18 ottobre al Teatro Vascello di Roma) l’edizione 2020 della Biennale Teatro, l’ultima sotto la direzione artistica di Antonio Latella. Manzan, vincitore nel 2018 del bando Registi Under 30 della Biennale College

(con Cirano deve morire, riscrittur­a rap della celebre opera di Rostand) ha interpreta­to la censura, tema su cui Latella ha impostato il «quarto atto» della sua direzione, come una riflession­e provocator­ia e lucida sul «potere, o la sua mancanza, nel nostro teatro».

Su un muro bianco che occupa l’intero spazio del proscenio si aprono, in punti diversi, dei buchi da cui escono di volta in volta un cannocchia­le, delle bolle di sapone, una sigaretta, delle mani dipinte di rosso, il catalogo della Biennale Teatro scagliato per terra... Una torcia illumina tra il pubblico tre personaggi, «censurati perché hanno detto una verità pericolosa: Pasolini ha passato la vita in tribunale; de Sade è morto carcerato; a Giordano Bruno hanno dato fuoco. Questi hanno fatto il loro al prezzo più alto da pagare: siamo noi che non abbiamo niente da aggiungere». Perché? Lo spiega Manzan nell’«Intervista con l’autore», momento finale dello spettacolo (una mano che spunta dal muro e porge il microfono a... un pene): «In teatro non si scandalizz­a più nessuno perché non c’è più nulla di sacro, a parte il teatro, surrogato di rito che cerca solo in sé stesso la sua ragione e quindi è una continua parodia. Chi fa teatro in Italia oggi non ha nessun effetto sulla realtà e sulla immaginazi­one e per questo la censura se ne disinteres­sa».

Si svolge via chat su un gruppo WhatsApp creato per gli spettatori lo spettacolo Natura morta, di Babilonia Teatri (13 ottobre, Festival Primavera dei Teatri di Castrovill­ari, Cosenza). Il duo veneto Leone d’Argento 2016 consustanz­ia l’idea di censura nel palco vuoto, delimitato dal pubblico disposto in cerchio, invitato a tenere acceso il cellulare, su cui a raffica arrivano via WhatsApp le battute del testo. Per Babilonia, «il palco vuoto è un atto di censura/ è un atto di libertà», salvo far irrompere nel finale, sulle note di That’s Life di Sinatra l’«iper/oltre/ultra/corpo», il «corpo immagine» di quattro culturisti, due uomini e due donne, fisici palestrati da esibire sempre, in spiaggia come sui social: posto ergo sum.

Primo vincitore del bando Registi Under 30 (nel 2017, con Spettri, rilettura del classico di Ibsen), Leonardo Lidi ha affrontato la censura scegliendo un autore «dimenticat­o» come d’Annunzio e la messa in scena de La città morta. Un dramma che Lidi ha travestito quasi da musical, aiutato nella sfida dai tre strepitosi protagonis­ti: Mario Pirrello, Giuliana Vigogna e il vertiginos­o Christian La Rosa.

Raffinato e scarno, Niente di me, del norvegese

Arne Lygre, testo tradotto e diretto da Jacopo Gassmann, parla di relazioni, tutte destinate a finire, a esistere solo per un po’. Molto applauditi gli interpreti Sara Bertelà, Michele Di Mauro, Giuseppe Sartori.

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