Corriere della Sera - La Lettura
Danza Don Giovanni con Edipo e il # MeToo
Johan Inger porta in anteprima italiana (a Reggio Emilia e a Ferrara) e poi in prima mondiale a Parigi un «Don Juan» aggiornato, creato per i 16 performer di Aterballetto. Al centro, spiega a «la Lettura», il rapporto con la madre
Nessuno lo può giudicare. Eccetto la Comendatora: la mamma. Ai tempi del #MeToo, il seduttore per antonomasia Don Giovanni sprofonda in un abisso di pulsioni animali sotto lo sguardo inclemente della Madre, elevata a Super-Io. Non un Commendatore-padre, come in Mozart, ma una Comendatora, in spagnolo. Così vuole il testo del balletto Don Juan che il coreografo svedese Johan Inger (Stoccolma, 1967) ha scritto con il drammaturgo Gregor Acuña-Pohl, attingendo a El Burlador de Sevilla y convidado de piedra di Tirso De Molina (ma anche a Molière, Da Ponte, Brecht, a Le Burlador in chiave femminista di Suzanne Lilar), sulla partitura originale di Marc Álvarez che incorpora citazioni di Gluck e Mozart. Lo spettacolo, creato per i 16 danzatori di Aterballetto , ve drà l a l uce, i n pri ma mondiale, a l Théâtre National de Chaillot di Parigi dal 14 al 18 ottobre, in una tournée preceduta da due anteprime italiane, il 6 ottobre al Teatro Municipale Romolo Valli di Reggio Emilia e il 9 al Comunale di Ferrara; tra le tappe straniere, il Festspielhaus di St. Pölten in Austria (24 ottobre), co-produttore del balletto.
«Don Giovanni è un mito senza tempo — dice Johan Inger a “la Lettura” —. Quello che ho tentato di fare è stato scavare dentro di me il personaggio di Don Juan e cercare di capirne le motivazioni. Non lo difendo, cerco soltanto di spiegarlo. Pur essendo consapevole del movimento #MeToo, non mi sono fermato allo stereotipo del seduttore seriale. Ho preferito focalizzarmi sull’essere umano, la sua tragedia, le sue colpe, per trarne un balletto che getti nuova luce su di lui. Ciò che caratterizza il dramma di Don Juan è l’abbandono da parte della madre che forse morì, forse si ammalò».
La silente ricerca della Madre (danzata da Ina Lesnakowski) in tutti i contesti della vita, senza mai poterla trovare, ha impedito a Don Juan (interpretato dal danzatore Saul Daniele Ardillo) di impegnarsi con le donne e l’ha portato a disegnare il proprio destino, in una lenta, rovinosa discesa agli inferi. «Una condizione umana insostenibile — prosegue Inger —, profondamente insana per lui e per le persone che lo circondano. Al posto del Commendatore mozartiano ho immaginato che sia la Madre a diventare la Comendatora: è colei che alla fine lo giudicherà, quando ormai sarà solo un fantasma in scena. Don Juan la cerca in tutte le donne che seduce. Lo vediamo, bambino tra le braccia di lei, assistiamo al loro amore, alla loro intimità, al tentativo vano di lei, ormai morente, di fornire al figlio gli strumenti di cui ha bisogno per affrontare la vita senza di lei, finché non si eclissa per poi riapparire da fantasma».
È questo il trampolino drammaturgico che innesca il viaggio verso la dissolutezza di Don Giovanni: il complesso edipico bussa più volte al suo inconscio, fino a sostituire il corpo della madre a quello dell’ultima conquista — l’adolescente Ines — con cui Don Juan si sta accoppiando. Per Inger, coreografo tra i più contesi di oggi e lanciato dal Nederlands Dans Theater di Jiri Kylián, è un ritorno all’Aterballetto dopo il riallestimento di Rain Dogs (2013), la prima mondiale di Bliss (2016), il trittico Golden Days (2017). Per la compagnia di Reggio Emilia, questo Don Juan è una consacrazione internazionale allo Chaillot (uno dei quattro teatri nazionali di Francia, dal 2008 dedicato alla danza sotto la direzione di José Montalvo), dove Aterballetto inaugura la nuova stagione parigina dopo il lockdown, nella sezione Scène d’Italie.
Puntualizza Inger: «Il mio Don Giovanni è un camaleonte. La sua arma di seduzione è la capacità di adattarsi ai desideri di qualsiasi donna, di qualsiasi classe sia, dal più alto standard sociale al rango più basso. È un uomo dipendente, affamato d’amore, solo: attraverso la coreografia, lo seguiamo dalla nascita e assistiamo al suo viaggio dall’innocenza all’abisso, in una spirale verso il basso che diventa sempre più dark, più ambigua». Inger ha fornito una lettura freudiana a
Don Juan, scaturita dalla collaborazione con il drammaturgo e regista Acuña-Pohl (nato ad Amburgo ma attivo a Siviglia), con il quale il coreografo svedese ha firmato altri fortunati balletti narrativi, Brisa per il Nederlands Dans Theater, Carmen per la Compañia Nacional de Danza di Madrid e Peer Gynt per il Balletto di Basilea.
Il sipario di Don Juan si leva sull’incontro tra la Madre e un uomo che abusa di lei e la maltratta. Dalla violenza nasce un bambino in cui si fondono le personalità di Don Juan e del suo alter-ego Leo (interpretato dal danzatore Philippe Kratz), ovvero Leporello, il valletto di mozartiana memoria. Insieme danno vita a un Don Giovanni bipolare che si colora di riferimenti letterari, da The Fight Club di Palahniuk a Vita di Pi di Martel, da Dorian
Gray di Wilde a Cosmetica del nemico di Amélie Nothomb. «Oggi — soggiunge Inger — avere un servo è fuori posto, un retaggio del passato. È più interessante che Leporello e Don Juan siano la stessa persona, o meglio due lati dello stesso uomo: Don Juan più dominante, Leo più saggio, secondo il binomio tenebra e luce, libertà e colpa». Le amantivittime Elvira, Tisbea, Zerlina, Ana, Ines si alternano in una scenografia mossa da quinte di mattoni neri, metaforicamente emotivi, che diventano bianchi o riflettenti.
Aterballetto registra con Don Juan il ricambio generazionale dei suoi danzatori. Racconta Sveva Berti, direttrice della compagnia: «Su un organico di 16 ballerini, 7 sono entrati negli ultimi due anni. Sono ballerini di personalità, diversi nello stile, nel fisico, nella formazione, nell’interpretazione, capaci di adattarsi ai molti nuovi contesti in cui la compagnia, oggi Fondazione Nazionale della Danza, è chiamata a esibirsi: da spettacoli di matrice teatrale come Don Juan a progetti di installazioni a situazioni site-specific. Con i giovani è più facile assecondare l’apertura alla progettualità di Aterballetto. Il fatto che siano prevalentemente stranieri — 10 in tutto tra olandesi, spagnoli, francesi, belgi, tedeschi — è un ulteriore stimolo al confronto».