Corriere della Sera - La Lettura

L’urlo della regista iraniana «II pappagallo soffoca»

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La documentar­ista iraniana Mina Akbari (qui sopra, foto di Mehran Falsafi) mostra uno scatto di vent’anni fa: la ritrae insieme a 70 altri giornalist­i del quotidiano «Jame oggi chiuso. Inizia così Formerly Youth Square, che sarà presentato per la prima volta fuori dall’Iran domenica 11 ottobre al festival Middle East Now di Firenze (ore 17,30, Cinema La Compagnia) e online (mymovies.it/ ondemand/middleastn­ow). Akbari era approdata ventenne al giornalism­o «con un bagaglio di sogni», sotto la presidenza di Mohammad Khatami. «Me ne sono andata a 40, con quei sogni traditi», ha raccontato la regista a «la Lettura» in un’intervista a Teheran lo scorso febbraio. «Nessuno legge più i giornali, non c’è fiducia a causa dell’eccesso di censura. I direttori stessi diventano censori per evitare che i giornali vengano chiusi. I reporter sono liberi di scrivere — ride amara — ma dopo avere scritto non sono più liberi. Quando Khatami arrivò al potere nel 1997 promise libertà di espression­e, più diritti alle donne, dialogo. Era una novità dopo la presidenza di Rafsanjani, quando la guerra era appena finita e la priorità era l’economia. Eravamo entusiasti, avevamo scommesso su quell’apertura, ma presto abbiamo capito che, se anche il presidente in Iran volesse realizzare promesse simili, non potrebbe. Chi detiene il potere lascia scorrere un po’ la libertà, poi subentra con prepotenza e dimostra che è l’unico ad avere il controllo».

Nel film, Akbari va alla ricerca degli ex colleghi. Molti sono emigrati dopo le proteste del 2009, alcuni sono stati arrestati o hanno cambiato lavoro. Solo 6 scrivono ancora per i giornali, «come una squadra di calcio che sa che non è il momento di segnare, ma gioca in difesa», spiega uno di loro.

Akbari ora è una documentar­ista. «C’è una differenza abissale tra fare questo lavoro qui in Iran e in altre parti del mondo. Non abbiamo archivi, tutto il materiale che vedete nel film è frutto di ricerca personale nei sotterrane­i delle case. Ovunque quando ci sono rivoluzion­i o drastici cambi di potere, gli archivi vengono distrutti, perché il primo nemico è la storia. Non ci è rimasto quasi niente, e io non lo sopporto, voglio che le generazion­i future abbiano un archivio. Perciò ho iniziato a lavorare a questo film anche se non avevo i permessi. Per tre anni sono andata avanti senza certezze, con la possibilit­à di essere fermata anche su questa strada come mi è capitato da giornalist­a». E invece Akbari è riuscita a proiettare il suo documentar­io al festival Cinéma Vérité di Teheran l’anno scorso. «La sala era sempre piena, c’era gente in piedi». Una sua collaborat­rice ha messo il teaser sui social ed è diventato virale. «Allora abbiamo ottenuto i permessi per proiettarl­o nelle sale. Altrimenti l’avremmo distribuit­o online». Il film è stato un successo per 12 settimane. Ora, prima di vederlo volare in Italia, la regista ci racconta un aneddoto del poeta e mistico Rumi. «In partenza per l’India, Rumi chiese al suo pappagallo se avesse un messaggio per i pappagalli indiani. “Di’ loro che sono in gabbia e sto soffocando”, fu la risposta. Rumi in India riferì il messaggio a ogni pappagallo che incontrava. E quando lo sentivano, cadevano tutti al suolo svenuti. Tornato in Iran, raccontò quelle reazioni al suo pappagallo, il quale a sua volta svenne. Credendolo morto, lo tirò fuori dalla gabbia, e allora il pappagallo si svegliò e volò via. Ecco noi siamo in gabbia, stiamo soffocando, diteci come uscire viviana mazza)

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