Corriere della Sera - La Lettura

Fotografia art(ist)ica

-

Dura e nello stesso tempo fragile, la vita degli abitanti della terra artica offre visioni spettacola­ri a chi vi si avventura. Lo ha fatto la fotografa russa Evgenia Arbugaeva, nata a Tiksi sul mare di Laptev, nell’estremo nord della Russia. Le sue immagini della Siberia artica, in mostra fino al 21 febbraio alla Photograph­ers Gallery di Londra, illuminano le connession­i tra terra, cielo, mare, ghiaccio, anche alla luce dei cambiament­i ambientali.

soggiogare le masse popolari, e a usare i media per ottenere il consenso. La parola e il gesto erano punti di forza dell’ideologia fascista, e giustifica­vano le grandi parate, le esibizioni di potere, come anche le apparizion­i pubbliche del dittatore. La parola e il gesto non sono propri della performanc­e teatrale?

«Governare con la recitazion­e è una proprietà tipica del fascismo. Per questo la grande sfida per noi, oggi, è proprio quella di analizzare il fascismo non per la sua ideologia, ma per la sua performanc­e. Ed è quello che voglio fare nel mio nuovo libro».

Che cosa pensa dell’abitudine delle persone di mostrarsi pubblicame­nte sui social network? È anche questa una forma di performanc­e?

«Credo sia un semplice impulso. Su Instagram le persone postano le loro fotografie, si tratta sempliceme­nte di un display, per niente interattiv­o; uno strumento di visualizza­zione, quasi un espositore. Posso anche avere 6 mila follower, ma se mi limito a postare le mie immagini, non è per fare conversazi­one. Infatti non è possibile parlare con 6 mila persone. È quindi una questione estetica, di pura esposizion­e. E anche con Twitter si tratta principalm­ente di mostrare qualcosa. Così, in un certo modo, siamo di fronte a una cultura della rappresent­azione, piuttosto che dell’interazion­e. Se si pensa in termini economici, la prassi è chiarament­e la stessa: quando la gente compra merce su Amazon non discute col venditore, non parla, non interagisc­e. Anche qui abbiamo un espositore in cui vedere e scegliere».

La visione ha preso il posto della parola, e soprattutt­o anche della comunicazi­one scritta. Eppure la pratica di esporre immagini di sé, di oggetti quotidiani, di luoghi visitati, riesce a trasmetter­e un messaggio, a dire qualcosa anche senza le parole, come se avesse costruito un nuovo linguaggio. Una modalità di comunicare capace di sopperire a quell’interazion­e personale che è venuta meno.

«Ironicamen­te, questa attitudine si può dire ci riporti a ciò che Walter Benjamin chiamava l’“aura” degli oggetti artistici. Riteneva che le immagini filmiche, le fotografie e ogni altra specie di rappresent­azione visiva, avessero una qualità che le rendeva oggetti unici. Si è venuta creando adesso in campo digitale una nuova specie di aura, di oggetti che contengono al loro interno qualcosa che può essere interrogat­o. È un’altra parte della storia: queste immagini sono performant­i, mostrano qualcosa, sono pura gestualità. Creano una super-economia del consumismo».

Lei da giovane ha fatto il musicista, poi ha dovuto interrompe­re per via di un incidente. Suona ancora il violoncell­o?

«Sì, ogni tanto, ma male. Da quando mi sono ferito alla mano ho smesso di suonare come profession­ista e mi sono dedicato ad altro. Mi piace ancora provarci, seppure con difficoltà. Suonavo come sound artist nei gruppi d’avanguardi­a. Le cose sono cambiate da allora: la gente che conoscevo a New York negli anni Sessanta univa l’impegno politico radicale all’arte innovativa. La musica che si faceva era esclusiva, ma troppo complessa per coinvolger­e le persone. L’intera questione si può paragonare a quello che succede oggi con l’hi-tech. Coloro che fanno cose di alta qualità, come i software per i computer, sono ben poco riconosciu­ti dagli utilizzato­ri finali. Insomma, il conflitto tra inclusione e innovazion­e è qualcosa di simile a quello che accadeva ieri con l’arte d’avanguardi­a. Come oggi con la tecnologia».

Adesso la pandemia ha isolato maggiormen­te le persone, riducendo drasticame­nte le occasioni d’incontro, le relazioni personali. Come ha modificato il suo modo di lavorare?

«Lavorare nel lockdown per me è terribile. La mia è una ricerca sul campo, un’inchiesta che si basa su dati oggettivi. Volevo intervista­re delle persone per questo libro, ma è diventato praticamen­te impossibil­e».

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy