Corriere della Sera - La Lettura
All’esame di filosofia
Globalizzazione
Il dibattito sullo stato di salute della globalizzazione è in pieno svolgimento. C’è chi sostiene che alla fine, archiviata la pandemia, la forza degli scambi internazionali prevarrà di nuovo. E c’è chi invece pensa che la mondializzazione sia rimasta contagiata dal Covid e si renda necessaria, se non urgente, una rivisitazione profonda o, se volete, un distanziamento. La querelle almeno per ora è in mano agli economisti anche se va registrata l’incursione di Emmanuel Macron, spintosi a rilanciare l’autosufficienza della Francia come risposta al dilemma di cui sopra.
Nessuno finora aveva però chiamato in ballo la filosofia e lo fa, con un certo coraggio intellettuale, Massimiliano Valerii, direttore generale del Censis, con Il contagio del desiderio (Ponte alle Grazie, pp. 246, 15). Per legittimare la sua mossa Valerii ricorre a un coup de théatre e convoca al tavolo della globalizzazione la figura di Alexandre Kojève, filosofo russo dei primi anni del Novecento approdato nei ranghi della Repubblica francese come grand commis. «Kojève — argomenta Valerii — fece parte di quella ristretta élite di intellettuali che furono gli artefici del processo che portò a un’embrionale unificazione europea e furono i responsabili dei primi accordi internazionali per la liberalizzazione dei commerci mondiali». In realtà Kojève è persino di più: nipote di Vasilij Kandinskij, raffinato interprete di Hegel, protagonista della vita culturale della Parigi degli anni Trenta. Un Mefistofele che a un certo punto si era messo in testa addirittura di sedurre Stalin con la sua dottrina in cui coniugava Hegel con il marxismo e Heidegger.
La convocazione di Kojève si spiega, dunque, non solo con il suo curriculum ma per le sue idee. A lui dobbiamo la prima teoria della fine della storia, alla quale negli anni Novanta attingerà a piene mani per il suo bestseller il politologo americano Francis Fukuyama. Valerii ci dice che il filosofo russo oscilla nel datare il passaggiochiave della millenaria lotta degli uomini per la libertà e l’uguaglianza: in un momento è la Rivoluzione francese che annulla le differenze di razza, di ceto e di classe, in un altro l’Ottobre russo e alla fine gli pare che l’American way of life «con il suo essere eterno presente dell’individuo soddisfatto» o se preferite imborghesimento di massa del proletariato. Comunque negli eventi del pianeta nulla di radicalmente nuovo è accaduto, per Kojève, rispetto a quanto acquisito con Hegel-Napoleone, con il riconoscimento del principio politico della dignità di ogni individuo. È il presupposto di quello che il filosofo definisce l’avvento «dello Stato universale e omogeneo» e che successivamente descriverà come un neocapitalismo poggiato sul valore e il ruolo della classe media. Qualcosa però, ammonisce Valerii, è andato storto e quale che sia l’effetto-pandemia ci riesce difficile credere a un futuro di armonia e standardizzazione sociale. Siamo condannati a camminare in terra incognita e l’autore ricorre di nuovo a Kojève e alla sua bussola hegeliana: l’uomo è uomo perché desidera il riconoscimento altrui. Si riparte da qui.